La pigrizia è una caratteristica umana comune. Sfortunatamente inibisce l’energia del risveglio e mina la fiducia in noi stessi e la nostra forza. Ci sono tre tipi di pigrizia: la tendenza alla comodità, la mancanza di forza d’animo e il “non me ne può importare di meno”. Questi sono i tre modi in cui restiamo bloccati nei soliti schemi che ci indeboliscono. Tuttavia esplorarli con curiosità dissolve la loro forza.
Il primo genere di pigrizia, la tendenza alla comodità, si basa sulla nostra inclinazione a evitare il disagio. Vogliamo riposare, concederci una pausa. Ma essere accondiscendenti con noi stessi, cullarci nella bambagia diventa una consuetudine che ci fa diventare stanchi e pigri. Se sta piovendo guidiamo per mezzo isolato piuttosto che bagnarci. Al primo accenno di calore accendiamo il condizionatore. Alla prima minaccia di freddo accendiamo il riscaldamento. In questo modo perdiamo contatto con la realtà della vita. Confidiamo in quella rapida risoluzione e ci abituiamo a risultati automatici.
Questo particolare genere di pigrizia può farci diventare aggressivi. Ci irritiamo per ogni inconveniente. Quando l’automobile non funziona, quando si rompe una tubatura dell’acqua o si interrompe la fornitura di corrente elettrica quando dobbiamo sederci su un pavimento freddo senza un cuscino, allora esplodiamo. La tendenza alla comodità intorpidisce l’apprezzamento di odori, immagini e suoni. Ci rende anche insoddisfatti. In qualche modo, nel cuore sappiamo sempre che il solo piacere non è la via verso la felicità durevole.
Il secondo genere di pigrizia è la mancanza di forza d’animo. Proviamo una sensazione di sconforto, pensiamo: “Povero me”. Ci sentiamo talmente miserabili da non essere in grado di affrontare il mondo. Stiamo seduti davanti alla televisione a mangiare, a bere e a fumare, guardando ottusamente un programma dopo l’altro. Non riusciamo a fare qualcosa per riscattare la nostra perdita d’animo. Anche se riusciamo a metterci in moto e ad aprire una finestra, lo facciamo con un senso di vergogna. Facciamo un gesto esteriore per vincere la pigrizia, ma dentro abbiamo ancora quel senso di sconforto. Anche quel gesto per metterci in moto o per accelerare è sempre un’espressione della mancanza di forza d’animo. Ci stiamo ancora dicendo: “Sono un disastro. Non c’è speranza per me. Non ci riuscirò mai”. Così non ci concediamo davvero una pausa. Abbiamo dimenticato come aiutare noi stessi, ci manca l’intuizione su cosa possa portarci un vero sollievo.
La terza forma di pigrizia – “non me ne può importare di meno” – è caratterizzata dal risentimento. Stiamo mandando al diavolo il mondo. È simile alla mancanza di forza d’animo, ma è più pesante. Rispetto alla mancanza di forza d’animo, che ha una sua tenerezza e vulnerabilità, è un atteggiamento più aggressivo e sprezzante. “Il mondo è un disastro. Non mi dà ciò che merito, quindi perché dovrei occuparmene?”. Andiamo al bar, beviamo in continuazione e se qualcuno ci rivolge la parola attacchiamo briga. Oppure chiudiamo i balconi, andiamo a letto e ci tiriamo le coperte fin sopra la testa. E se qualcuno cerca di tirarci su di morale, che il cielo lo aiuti! Continuiamo a svalutarci e a buttarci giù. Non vogliamo trovare nessuna via d’uscita, vogliamo solo starcene lì a sentirci zavorrati dallo sconforto. Usiamo la pigrizia come un modo per vendicarci. Questo genere di pigrizia può facilmente trasformarsi in una depressione invalidante.
Ci sono tre metodi che gli esseri umani usano abitualmente per affrontare la pigrizia o un’emozione problematica. Le definisco le tre strategie inutili: l’attacco, l’indulgenza e l’ignoranza.
L’inutile strategia dell’attacco è particolarmente diffusa. Quando vediamo la nostra pigrizia ci condanniamo. Ci critichiamo e ci vergogniamo di indulgere nella comodità, di compatirci o di non uscire dal letto. Ci crogioliamo nel sentirci cattivi e colpevoli.
L’inutile strategia dell’indulgenza è altrettanto comune. Giustifichiamo e persino applaudiamo la nostra pigrizia. “Io sono fatto così. Non merito scomodità o fastidi. Ho un sacco di motivi per essere arrabbiato o per dormire ventiquattro ore al giorno”. Possiamo essere perseguitati dall’insicurezza e dalla sensazione di inadeguatezza, ma ci persuadiamo ad avvallare il nostro comportamento.
La strategia dell’ignoranza è molto efficace, almeno per un po’. Ci dissociamo, ci distanziamo, ci intorpidiamo. Facciamo tutto il possibile per allontanarci dalla nuda verità delle nostre abitudini. Andiamo avanti con il pilota automatico ed evitiamo di guardare da vicino ciò che stiamo facendo.
Le pratiche per l’addestramento mentale del guerriero offrono una quarta alternativa, l’alternativa della strategia illuminata. Si tratta di sperimentare completamente tutto ciò a cui stiamo resistendo senza cercare una via d’uscita in uno dei nostri tre modi abituali. Indaghiamo sui tre generi di pigrizia. Con l’addestramento a bodhicitta ci esercitiamo a non resistere, a entrare in contatto con la fragilità e l’inconsistenza del nostro essere prima del loro irrigidirsi. Lo facciamo con la chiara intenzione di ridurre il nostro attaccamento all’ego e aumentare la nostra saggezza e la nostra compassione.
È importante riconoscere che solitamente non vogliamo indagare sulla pigrizia o su qualsiasi altra inclinazione. Vogliamo viziarci, non vedere o condannare. Vogliamo continuare con le tre strategie inutili, perché le associamo con il sollievo. Vogliamo continuare a rifugiarci nella tendenza alla comodità, a raccontarci senza posa la nostra mancanza di forza d’animo, a rimuginare sul fatalismo del “non me ne può importare di meno”.
Tuttavia, a un certo punto potremmo iniziare a diventare curiosi e a farci queste domande: “Perché sto soffrendo? Perché tutto è pesante? Perché la mia insoddisfazione e la mia noia peggiorano anno dopo anno?”
Quello è il momento in cui possiamo ricordarci del nostro addestramento. Quello è il momento in cui possiamo sentirci pronti per iniziare a sperimentare l’approccio compassionevole del guerriero. Quello è il momento in cui l’istruzione a stare con la fragilità e a non indurirci può iniziare ad avere un senso.
Allora iniziamo a osservare la nostra pigrizia e a sperimentare direttamente la sua qualità. Arriviamo a comprendere la nostra paura del disagio, la nostra vergogna, il nostro risentimento, la nostra ottusità e capiamo che anche altri si sentono così. Prestiamo attenzione alle storie che ci raccontiamo e notiamo come provocano nel nostro corpo delle rigidità. Con la pratica costante capiamo che non siamo più obbligati a credere a queste storie. Facciamo il tonglen, la meditazione da seduti e altre pratiche di bodhicitta per aprirci alla cruda realtà dell’energia emotiva. Comprendendo che, come noi, tutti vengono catturati e tutti possono essere liberi, iniziamo a provare una certa tenerezza.
La pigrizia non è particolarmente terribile o meravigliosa. Ha piuttosto una viva qualità di fondo che merita di essere sperimentata per quello che è. Forse nella pigrizia troveremo una qualità irritante, pulsante. Potremmo sentirla come ottundente e pesante o vulnerabile e cruda. Indipendentemente da ciò che scopriamo, esplorando ulteriormente non troviamo nulla a cui aggrapparci, nulla di solido, solo l’energia priva di consistenza del risveglio.
Questo processo di sperimentazione diretta e non verbale della pigrizia porta a una trasformazione. Sprigiona un’enorme energia che di solito è bloccata dalla nostra abitudine a scappare. Questo perché, quando smettiamo di resistere alla pigrizia, la nostra identità di persone pigre inizia a cadere a pezzi. Senza i paraocchi dell’ego, ci connettiamo con una visione nuova e più grande. È così che la pigrizia, o qualsiasi altro demone, ci introduce alla vita compassionevole.
[ Da: Pema Chödrön, “Il coraggio del Buddha. Guida pratica per non cedere alla paura“ ]