Le mie emozioni dettano il mio comportamento. Se una qualche cosa mi fa star bene, desidero averla; se mi fa star male, desidero evitarla; se mi lascia indifferente, la ignoro. Mi trovo in un perpetuo conflitto, in quanto sono emotivamente sospinto in una direzione e respinto dall’altra. Ma ciò che dà origine sia all’attrazione che alla repulsione è il desiderio: l’infantile, utopica aspirazione a una situazione in cui finalmente possiederò tutto quello che desidero e da cui avrò respinto tutto quello che non mi piace. Persevero cioè nella profonda convinzione che un io permanente e separato abbia diritto a una vita distante dalle incertezze e dalle contingenze dell’esistenza.
E così assegno ai fantasmi del mio desiderio il carattere di una finalità assoluta. Che si tratti di sesso, di fama o di ricchezza, quelle chimere splendono davanti a me con un fascino inebriante, incontaminato dalle ambiguità dell’esperienza vissuta. Non ne considero le implicazioni. Pannolini per neonati e malumori familiari figurano come inezie nelle mie fantasie di conquista sessuale, e lo stesso accade per giornalisti e tasse, nei miei sogni quotidiani di fama e di ricchezza.
Tali desideri si cristallizzano per effetto della vorticosa agitazione indotta dallo smarrimento. Nella mia metaforica cecità, protendo disperatamente le mani verso qualcosa a cui aggrapparmi. Anelo a qualsiasi cosa possa alleviare il mio senso di frustrazione, di angoscia, di isolamento, di inconsistenza. Ma il desiderio è turbato e alterato proprio dal disorientamento che cerca invano di dissipare. Esagera la desiderabilità di ciò che si ambisce possedere e la detestabilità di ciò che si vuole evitare. Stregato dalle sue stesse proiezioni, eleva i propri obiettivi a un rango di suprema importanza. Sotto il magico influsso del desiderio, la mia intera vita finisce per dipendere dall’acquisizione o dalla messa al bando di qualcosa. “Se soltanto…” diviene il mantra del desiderio irrealizzato.
Un mondo mutevole e contingente può offrire soltanto delle parvenze di perfezione. Quando mi lascio guidare dal desiderio, ho la convinzione che, se solo riuscissi a conseguire questo obiettivo, tutto andrebbe bene. Mentre crea l’illusione di una vita provvista di scopo, il desiderio equivale, in realtà, alla perdita di direzione. Implica il processo di un divenire coatto. Mi sospinge entro un moto circolare, a percorrere sempre di nuovo lo stesso tragitto. Ogni volta che penso di aver trovato una sistemazione che risolva tutti i miei problemi, essa improvvisamente si rivela come una diversa configurazione della situazione a cui pensavo di sfuggire. La mia sensazione di aver trovato una nuova prospettiva di vita si tramuta in quella di una mera ripetizione del passato. Mi rendo conto che sto correndo sempre nello stesso punto, che sono freneticamente intento ad andare da nessuna parte.
La vita diventa così una successione di piccole nascite e piccole morti. Quando ottengo quello che voglio, mi sento rinato. Ma non appena mi sono assestato in questa sensazione, ecco che subito riaffiorano le vecchie angosce. Il mio nuovo possesso subisce una rapida obsolescenza, mano a mano che il suo valore appare sminuito dal miraggio di qualcosa di più desiderabile che ancora non posseggo. Quanto sembrava perfetto risulta d’improvviso sminuito dalle allarmanti tracce della sua imperfezione. Invece di risolvere i miei problemi, la nuova situazione li sostituisce con altri che non avrei mai neppure immaginato. Ma invece di accettare questo processo come un aspetto connaturato all’esistenza in un mondo inaffidabile, invece di imparare a esser soddisfatto dei miei successi e delle mie gioie e a non esser sopraffatto dalle mie sconfitte e dalle mie pene, invece di apprezzare l’intensa, tragica, triste bellezza della vita, non faccio altro che digrignare i denti e dibattermi, schiavo come sono di quella sommessa, ammaliante voce che sussurra: «Se soltanto…».
[Da: Stephen Batchelor, “Buddhismo senza fede“]
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– Stephen Batchelor (macrolibrarsi)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Stephen_Batchelor