Il consiglio più chiaro sul risveglio di bodhicitta è questo: non fare del male a nessuno, né a te né agli altri, e ogni giorno fai il possibile per essere utile. Se prendiamo a cuore questa istruzione e iniziamo a usarla, probabilmente ci accorgeremo che non è poi così facile. Prima di rendercene conto, qualcuno ci ha provocato e, direttamente o indirettamente, abbiamo fatto del male. Quindi, quando la nostra intenzione è sincera ma il gioco si fa duro, molti di noi potrebbero giovarsi di qualche aiuto, di qualche istruzione fondamentale su come rilassarsi e far cadere le nostre consolidate abitudini di aggredire e accusare. I quattro metodi per mantenere la calma offrono questo sostegno per sviluppare la pazienza necessaria a restare aperti a ciò che accade, invece di agire inserendo il pilota automatico. Questi quattro metodi sono:
- non posizionare il bersaglio per la freccia
- connettersi con il cuore
- vedere gli ostacoli come dei maestri
- considerare tutto ciò che accade come un sogno
Primo, se non abbiamo posizionato il bersaglio, non può essere colpito da una freccia. Questo per dire che ogni volta che reagiamo con parole o azioni aggressive, rinforziamo l’abitudine alla rabbia. Finché lo facciamo, senza dubbio troveremo molte frecce nel cammino. Saremo sempre più irritati dalle reazioni altrui.
Tuttavia, ogni volta che veniamo provocati ci viene data la possibilità di agire in modo diverso. Possiamo rafforzare le vecchie abitudini posizionando il bersaglio o possiamo indebolirle mantenendo la calma.
Ogni volta che stiamo fermi davanti all’irrequietezza e alla rabbia, rinvigoriamo la nostra capacità di controllo. Questa è un’istruzione per coltivare la radice della felicità. Ogni volta che agiamo in base alla rabbia o la reprimiamo, amplifichiamo la nostra aggressività e diventiamo sempre più simili a un bersaglio mobile. Allora, con il passare degli anni, quasi tutto ci fa andare fuori di testa. Questa è la chiave per capire, a un livello del tutto reale e personale, come piantiamo i semi della sofferenza.Pertanto questo è il primo metodo: ricordarci che siamo noi a posizionare il bersaglio e che solo noi possiamo toglierlo. Comprendere che, se quando vogliamo vendicarci manteniamo la calma, anche solo brevemente, cominciamo a dissolvere lo schema dell’aggressività che, se glielo permettiamo, continuerà a fare del male a noi e agli altri.
Il secondo metodo è l’istruzione per connettersi con il cuore. In momenti di rabbia possiamo contattare la gentilezza e la compassione che già abbiamo dentro.
Quando un pazzo ci fa del male, riusciamo facilmente a capire che non sa cosa sta facendo. Possiamo contattare il nostro cuore e provare tristezza perché tale persona è fuori controllo e si fa del male facendo del male agli altri. Anche se abbiamo paura, c’è la possibilità di non provare odio o rabbia. Ci sentiamo piuttosto ispirati ad aiutare questa persona, se ciò è possibile.
In effetti, un malato di mente è molto meno pazzo di una persona sana che ci fa del male, perché la cosiddetta persona sana ha tutte le capacità per capire che, agendo con aggressività, sta piantando il seme della sua stessa confusione e insoddisfazione. La sua attuale aggressività rinforza la futura e più radicata abitudine ad aggredire. Sta creando la sua telenovela personale. Questo genere di vita è doloroso e solitario. Chi ci fa del male è sotto l’influenza di modelli che possono continuare per sempre a generare sofferenza.
Quindi questo è il secondo metodo: connetterci con il cuore. Ricordare che chi ci fa del male non ha bisogno di essere provocato ulteriormente e nemmeno noi. Riconoscere che, proprio come noi, milioni di persone stanno bruciando nel fuoco dell’aggressività. Restiamo con l’intensità della rabbia e lasciamo che la sua energia ci renda umili e più compassionevoli.
Il terzo metodo è l’istruzione per vedere le difficoltà come dei maestri. Se non c’è nessun maestro vicino che ci dia istruzioni dirette e personali su come smettere di provocare danni, niente paura! La vita stessa ci offrirà delle opportunità per imparare a mantenere la calma. Senza quel vicino poco cortese, dove troveremmo l’opportunità di praticare la pazienza? Senza quel prepotente in ufficio, come potremmo avere l’opportunità di conoscere l’energia della rabbia così da vicino da farle perdere il suo potere distruttivo?
Il maestro è sempre con noi. Il maestro ci sta sempre indicando con precisione dove siamo, invitandoci a non parlare e a non agire nella solita maniera nevrotica, invitandoci anche a non reprimerci, a opporci a noi stessi, a non piantare i semi della sofferenza. Quindi, con la persona che ci spaventa o ci insulta, ci vendichiamo come abbiamo fatto centomila volte o iniziamo a diventare più scaltri e a mantenerci finalmente calmi?
Proprio nel momento in cui stiamo per scoppiare o per ritrarci nell’oblio possiamo ricordare questo: siamo guerrieri in formazione a cui viene insegnato come gestire l’irritazione e il disagio. Veniamo sfidati a restare dove siamo e a rilassarci.
Quando seguiamo queste o altre istruzioni, il problema è che abbiamo la tendenza a diventare troppo seri e rigidi. Diventiamo tesi e ansiosi e non riusciamo a rilassarci e a pazientare.
Ed è qui che entra in gioco la quarta istruzione: è utile pensare alla persona che è arrabbiata, alla rabbia stessa e all’oggetto di quella rabbia come fossero un sogno. Possiamo considerare la nostra vita come un film in cui interpretiamo temporaneamente il ruolo dell’attore principale. Invece di farla diventare troppo importante, possiamo riflettere sulla totale insostanzialità della nostra situazione attuale. Possiamo rallentare e chiederci: “Chi è questo monolitico me che si sente così oltraggiato? Chi è quest’altra persona che riesce a provocarmi in questo modo? Cosa sono questa lode e questo biasimo a cui abbocco come un pesce all’amo, in cui cado come un topo nella trappola? Com’è che queste circostanze hanno il potere di scaraventarmi dalla speranza alla paura, dalla felicità alla tristezza come una pallina da ping-pong?”. Tutta questa tragedia della lotta, del sé e dell’altro non è così importante e potrebbe essere considerevolmente ridimensionata.
Contempliamo queste circostanze esterne, queste emozioni, questo enorme senso dell’ego come cose passeggere e prive di sostanza, proprio come un ricordo, un film, un sogno. Quando ci svegliamo al mattino sappiamo che i nemici nei nostri sogni erano delle illusioni. La comprensione elimina il panico e ogni timore.
Quando ci ritroviamo in preda all’aggressività, possiamo ricordare questo: non ci sono motivi per attaccare o per reprimere, non ci sono motivi per l’odio e la vergogna. Possiamo almeno iniziare a mettere in discussione le nostre supposizioni. Che siamo svegli o addormentati, può essere che ci stiamo soltanto spostando da uno stato di sogno a un altro?
I quattro metodi per trasformare la rabbia e per imparare un po’ di pazienza vengono a noi dai maestri Kadampa del Tibet dell’Undicesimo secolo. Sono istruzioni che nel passato hanno dato coraggio a bodhisattva inesperti e sono altrettanto utili nel presente. Quei maestri consigliavano di non procrastinare. Esortavano a usare queste istruzioni all’istante – proprio oggi, in questa precisa situazione – e a non dirsi: “Ci proverò più avanti, quando avrò un po’ più di tempo”.
[ Da: Pema Chödrön, “Il coraggio del Buddha. Guida pratica per non cedere alla paura“ ]