La psicologia buddhista opera un’interessante distinzione tra la colpa e il rimorso. Il senso di colpa, ossia l’odio diretto verso se stessi, lacera. Quando sperimentiamo un forte senso di colpa abbiamo poca o nessuna energia disponibile per la trasformazione o la trascendenza; veniamo sconfitti dalla stessa colpa, perché ci esaurisce. Inoltre ci sentiamo anche molto soli. I nostri pensieri si concentrano sulla nostra bassezza: “Sono la persona peggiore del mondo. Solo io faccio queste cose terribili”. Nondimeno, un tale atteggiamento accresce, addirittura, il senso dell”io’. Siamo ossessionati dall”io’ in senso egotistico.
Il rimorso, invece, è uno stato di riconoscimento. Ci rendiamo conto, a un certo punto, di aver fatto o detto qualcosa di malaccorto, che ha causato dolore, e sentiamo la sofferenza di questa consapevolezza. Ma la cosa più importante è che il rimorso ci permette di lasciar andare il passato, ci lascia qualche energia per andare avanti, risoluti a non ripetere i nostri errori.
La colpa può essere ingannevole: possiamo pensare che sia una nobile energia che ci sprona a metterci al servizio degli altri o a compiere azioni salutari. Ma la colpa non lavora davvero in questo modo; quando si è mossi dalla colpa o dall’angoscia, il dolore personale è la scena principale, proprio come, quando si è spinti dalla collera, è l’offesa personale che campeggia in primo piano. Quando tali sensazioni assumono un ruolo centrale, possiamo disinteressarci ai possibili bisogni di qualcun altro, perché non c’è mai abbastanza libertà dall’egocentrismo, nella nostra coscienza, per vedere chiaramente e per sentirci pienamente uniti. Dunque, finiamo col lavorare per noi stessi. E quanto siamo lontani dall’invocazione di Rabindranath Tagore: “Oh Dio, fa di me uno strumento musicale migliore, attraverso il quale tu possa suonare”!
[ Da: Sharon Salzberg, L’arte rivoluzionaria della gioia ]
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