“Lasciar andare è un’espressione molto usata in àmbiti spirituali contemporanei, soprattutto in àmbiti di Dharma. Sostituisce una parola più antica, la parola «rinuncia», meno popolare di «lasciar andare» perché suscita immagini di privazione.
Lasciar andare, rinunciare…a che cosa? A ciò che è nocivo.
Se lasciamo andare o rinunciamo non in base a un chiaro discernimento della nocività di quello che lasciamo andare, se rinunciamo o lasciamo andare senza sapere perché, questo sarà un atto destinato ad aumentare la nostra confusione. Oltre tutto, il lasciar andare può a volte diventare il contrario del lasciare andare. Cioè, se lascio andare qualcosa per dimostrare a me stesso quanto sono bravo, sto indulgendo in un atteggiamento di acquisività, di ambizione, perché voglio raggiungere questo livello di prodezza ascetica, spirituale. Ovviamente non è lasciar andare, perché non è liberante. E’ un altro moto di attaccamento che, uscito dalla porta, rientra dalla finestra. Quindi, capire che cos’è il lasciar andare. Potremmo dire che, a questo proposito, l’atteggiamento importante è avere la pazienza che la pratica, pian piano, ci porti alla comprensione, dalla quale, organicamente, viene generato il lasciar andare. Ma deve esserci questo discernimento: il discernimento non superficiale di ciò che è nocivo.
Vengono in mente echi di conversazioni quotidiane a proposito di qualcosa di nocivo, del tipo: «Lo so, lo so». Ma se lo so, perché lo faccio? Evidentemente non lo so veramente.
Andiamo quindi alle piccole cose, al training assolutamente insuperabile che ci è offerto dalle piccole cose. Poiché sono piccole, sono più maneggevoli; ma al tempo stesso non è tutto facile perché, appunto essendo piccole, sfuggono più facilmente.”
(Corrado Pensa, Attenzione saggia, attenzione non saggia)
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