Ogni cosa esistente è impermanente.
Quando si comincia a osservare ciò,
con comprensione profonda e diretta esperienza,
allora ci si mantiene distaccati dalla sofferenza:
questo è il cammino della purificazione.
Dhammapada, XX (277)
Per spiegare in maniera più ampia e dettagliata l’importante concetto di anicca, l’impermanenza, proponiamo questo articolo redatto dal Vipassana Research Institute.
Anicca, l’impermanenza
Il cambiamento è inerente a ogni esistenza fenomenica. Non vi è nulla nel campo animato o inanimato, organico o inorganico che possiamo definire permanente, e anche se dessimo questa denominazione a qualcosa, inevitabilmente essa sarebbe destinata a cambiare, a sottoporsi a qualche metamorfosi. Avendo compreso questo fatto fondamentale attraverso l’esperienza diretta all’interno di se stesso, il Buddha dichiarò:
Sia che nel mondo ci sia o no una persona completamente illuminata, tuttavia rimane una condizione ferma, un fatto immutabile e una legge fissata: tutte le formazioni fisiche e mentali sono impermanenti, soggette alla sofferenza e prive di sostanza.
Anicca (impermanenza), dukkha (sofferenza) e anatta (inconsistenza dell’io) sono le tre caratteristiche comuni ad ogni esistenza cosciente. Tra queste, la più importante nella pratica di Vipassana è anicca. Come meditatori ci troviamo ad affrontare l’impermanenza di noi stessi. Ciò ci permette di comprendere che non abbiamo alcun controllo su questo fenomeno, e che ogni tentativo di manipolarlo non ci crea altro che sofferenza. Impariamo quindi a sviluppare il distacco e l’accettazione di questo fatto, l’apertura al cambiamento, permettendoci così di vivere felicemente tra le vicissitudini della vita. Perciò il Buddha disse:
Meditatori, a colui che percepisce l’impermanenza si manifesta chiaramente la percezione della inconsistenza e mancanza di un io. E in chi percepisce questa inconsistenza, l’egoismo viene distrutto. E, come risultato, ottiene la liberazione persino in questa stessa vita. La comprensione di anicca conduce automaticamente alla comprensione di anatta e dukkha, chiunque realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce fuori dalla sofferenza.
Data la cruciale importanza di anicca non sorprende che il Buddha ne sottolineasse ripetutamente l’importante significato per coloro che cercano la liberazione. Nel Maha-Satjpatthana Suttanta, il testo principale in cui viene spiegata la meditazione Vipassana, egli descrisse i differenti stadi della pratica, che devono in ogni caso condurre alla seguente esperienza:
Il meditatore si sofferma ad osservare il fenomeno del sorgere… si sofferma ad osservare il fenomeno del passare… si sofferma ad osservare il fenomeno del sorgere e passare.
Dobbiamo saper riconoscere il fatto dell’impermanenza non solamente nel suo aspetto facilmente riconoscibile, intorno e all’interno di noi stessi. Oltre a ciò, dobbiamo imparare a vedere la realtà sottile che noi stessi stiamo cambiando ogni momento, che l’io di cui siamo così infatuati è un fenomeno in flusso costante, in continuo cambiamento. Con questa esperienza possiamo facilmente emergere dall’egoismo e così dalla sofferenza. In altre circostanze il Buddha disse:
L’occhio, o meditatori, è impermanente. E ciò che è impermanente è insoddisfacente. Ciò che è insoddisfacente è senza sostanza. E ciò che è senza sostanza non è “mio”, non è “io”, non è “me stesso”. Ecco come osservare l’occhio con saggezza, come è realmente.
La stessa cosa si ripete per l’orecchio, il naso, la lingua, il corpo, per tutte le basi dell’esperienza sensoriale, per ogni aspetto dell’essere umano. Il Buddha così continuò:
Vedendo ciò, o meditatori, il meditatore bene istruito ne ha abbastanza dell’occhio, dell’orecchio, del naso, della lingua, del corpo, e della mente. Essendo ormai sazio non prova più la passione per essi. Essendo senza passione per questi sensi, si sente libero. In questa libertà nasce la comprensione di essere liberato.
In questo passaggio il Buddha fa una netta distinzione tra il conoscere per sentito dire e la personale comprensione dovuta all’esperienza diretta. Si possono ascoltare numerosi discorsi e accettarli per fede o anche intellettualmente. Comunque questa accettazione è insufficiente per liberarci dal ciclo della sofferenza. Per ottenere la liberazione ognuno deve vedere e sperimentare la verità da solo, all’interno di se stesso. Ecco ciò che Vipassana ci permette di fare.
Se vogliamo capire l’eccezionale contributo del Buddha, dobbiamo mantenere questa distinzione bene in mente. Le verità di cui egli parlava erano conosciute anche prima di lui, ed erano comuni nell’India dei suoi tempi. Egli non inventò i concetti dell’impermanenza, della sofferenza e dell’inconsistenza dell’io. La sua unicità e peculiarità consiste nell’aver trovato una via per passare dai discorsi sulla verità alla diretta esperienza della verità. Un testo in cui ritroviamo l’attenzione per questo particolare aspetto dell’insegnamento del Buddha è il Bahiya Sutta, che si trova nel gruppo di discorsi del Samyutta Nikaya. In esso viene descritto l’incontro del Buddha con Bahiya, un ricercatore del cammino spirituale. Nonostante non fosse un discepolo del Buddha, Bahiya gli chiese di essergli da guida per la sua ricerca. I1 Buddha rispose ponendogli delle domande:
Che cosa ne pensi, Bahiya: è l’occhio permanente o impermanente?
Impermanente, signore.
E ciò che è impermanente è causa di sofferenza o di felicità?
Di sofferenza, signore.
Ora, ti sembra giusto considerare ciò che è impermanente, causa di sofferenza e per natura mutevole, come “mio”, “io”,” me stesso”?
Certamente no, signore.
Il Buddha continuò a fare le stesse domande a Bahiya sugli oggetti della vista, la coscienza dell’occhio e il contatto dell’occhio. L’uomo era sempre d’accordo: essi sono impermanenti, insoddisfacenti, senza un “io”. Non si dichiarava un seguace dell’insegnamento del Buddha, e tuttavia accettava la realtà di anicca, dukkha, e anatta. Naturalmente la spiegazione è che per Bahiya e altri come lui, i concetti dell’impermanenza, della sofferenza e della inconsistenza dell’io erano semplicemente delle opinioni. A queste persone il Buddha mostrò una via per andare al di là di credenze e filosofie, e fare esperienza diretta della loro natura come impermanente, come sofferente e senza un Io. In che cosa consiste quindi questa via che egli ha mostrato? Nel Brahamajala Suttanta, un altro discorso, il Buddha offre una risposta. Fa un elenco di tutte le credenze, le opinioni e i punti di vista del suo tempo, e quindi afferma di conoscere qualcosa molto oltre tutti quei punti di vista:
Avendo fatto esperienza di come realmente sono il sorgere e il passare delle sensazioni, l’attaccamento verso di esse, il pericolo insito in esse e il distaccarsi da esse, l’Illuminato, o meditatori, è diventato distaccato e liberato.
Qui il Buddha molto semplicemente dichiara che è diventato illuminato osservando le sensazioni fisiche come manifestazioni di impermanenza. E invita chiunque voglia seguire l’insegnamento del Buddha a fare altrettanto. L’impermanenza è il fatto centrale che dobbiamo comprendere per uscire dalla nostra sofferenza; e la via immediata per fare esperienza dell’impermanenza è osservare le nostre sensazioni fisiche, corporee. Di nuovo il Buddha disse:
Ci sono tre tipi di sensazioni, o meditatori, e tutte sono impermanenti, composte, e sorgono per una causa, destinate a non durare, e per natura a passare, scomparire, cessare.
Le sensazioni all’interno di noi stessi sono la più palpabile espressione della caratteristica di anicca, l’impermanenza. Osservandole, diventiamo capaci di accettare questa realtà, non solamente per fede o per convinzione intellettuale, ma per nostra esperienza diretta. In questo modo progrediamo dall’ascoltare solamente la verità allo sperimentarla all’interno di noi stessi. E la verità, quando la incontriamo faccia a faccia, è destinata a trasformarci radicalmente. Così il Buddha disse:
Quando un meditatore resta consapevole con corretta comprensione, diligente, ardente, e con pieno autocontrollo, quando piacevoli sensazioni fisiche sorgono nel suo corpo, egli allora comprende che è sorta questa piacevole sensazione corporea, ma è dipendente da una causa, non è indipendente. Dipendente da cosa? Da questo corpo. Ma questo corpo è impermanente, composto, condizionato. Ora, come potrebbero queste piacevoli sensazioni fisiche essere permanenti dal momento che dipendono da questo corpo composto e impermanente, e che è esso stesso condizionato?
Il meditatore fa esperienza dell’impermanenza delle sensazioni nel corpo, del loro sorgere, del loro passare, del loro cessare, e quindi del diminuire dell’attaccamento a esse. Mentre fa ciò, il suo sotterraneo condizionamento di bramosia viene abbandonato. Allo stesso modo, quando prova sensazioni spiacevoli nel corpo, viene abbandonato il suo sotterraneo condizionamento di avversione; e quando fa esperienza di sensazioni neutre nel corpo, viene abbandonato il suo sotterraneo condizionamento di ignoranza. In questo modo, osservando l’impermanenza delle sensazioni corporee, un meditatore si avvicina sempre più alla meta dello stadio incondizionato del nibbana, al di là delle esperienze sensoriali. Dopo aver raggiunto quella meta, Kondañña, la prima persona che divenne liberata attraverso l’insegnamento del Buddha, dichiarò:
Ogni cosa che ha la natura del sorgere ha anche la natura del cessare.
Solamente facendo esperienza in modo totale della realtà di anicca fu capace di fare esperienza di una realtà che non sorge e non passa. La sua dichiarazione è un chiaro segnale sul cammino ai futuri ricercatori della verità, indica la via che essi devono seguire per raggiungere la meta. Al termine della sua vita il Buddha dichiarò:
Ogni cosa esistente è impermanente.
Nei suoi ultimi momenti volle riproporre il grande tema di cui aveva parlato così spesso durante i suoi anni di insegnamento. E poi aggiunse:
Sforzatevi diligentemente.
Ma per quale scopo, ci dobbiamo chiedere, dobbiamo sforzarci? Sicuramente queste parole, le ultime dette dal Buddha, non possono che riferirsi alla frase precedente. Il prezioso messaggio del Buddha al mondo è la comprensione di anicca, la comprensione per esperienza diretta dell’impermanenza di ogni fenomeno fisico e mentale, come strumento per la liberazione. Dobbiamo sforzarci di raggiungere l’impermanenza all’interno di noi stessi; solo facendo ciò si potrà dire di aver compreso la sua ultima esortazione e il suo insegnamento.
(“La realtà dell’impermanenza” a cura del Vipassana Research Institute)
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