Nei Paesi tradizionalmente buddhisti, le persone sono abbastanza realistiche e rilassate rispetto alla propria pratica del Dharma. Anche se hanno una fede e una devozione profonde, sanno bene che siamo tutti esseri umani difettosi. Quindi tendono a essere meno critici nei propri confronti e nei confronti degli altri.
I buddhisti occidentali, invece, spesso cercano di diventare il “praticante perfetto”, di trasformarsi in tibetani o in giapponesi, assumendo non solo l’etichetta esteriore, ma anche gli atteggiamenti interiori della propria patria di Dharma d’adozione. Di solito, però, questo approccio non fa altro che accentuare la loro bassa autostima e la loro mancanza di fiducia. Per percorrere il sentiero con sicurezza, abbiamo bisogno di accettare e fare amicizia con ciò che siamo e sentirci a nostro agio nella nostra pelle.
La maggior parte degli insegnanti buddhisti ha notato la tendenza dei praticanti occidentali a prendersi troppo sul serio e a considerare con estrema rigidità il Dharma. Si tratta probabilmente di un retaggio della tradizione religiosa con cui sono cresciuti, ma a volte c’è qualcosa di alquanto comico nell’intensità dello sforzo e nella strenua ricerca dei risultati. Solennità e seriosità spesso sono il tratto caratteristico dei centri di Dharma occidentali.
Una delle qualità più evidenti della maggior parte degli insegnanti di Dharma asiatici – e di alcuni insegnanti occidentali – è invece la loro disponibilità a ridere e a scherzare. Il Dalai Lama ne è l’esempio più lampante: ride spontaneamente se qualcosa lo diverte, anche nel bel mezzo di una cerimonia solenne. Questo non significa che non sia profondamente sincero; solo non si prende troppo sul serio.
Di solito è il nostro vecchio compagno, l’ego, che ama prendersi sul serio per sentirsi importante. Così, quando ci si interessa al Dharma, l’ego si ammanta felicemente di un’aura di spiritualità e accetta prontamente di intraprendere ritiri e discipline pur di diventare un “io” migliore e più realizzato. Piuttosto che lavorare tranquillamente e con calma – per cambiare un po’ alla volta il modo di pensare, addestrando la mente – è facile cadere nella trappola di rincorrere pratiche e iniziazioni avanzate molto prima di essere realmente pronti. E questo, alla fine, crea solo scoraggiamento e un senso di fallimento.
A volte gli studenti mi chiedono: “Che cosa otterrò dalla pratica della meditazione?” oppure “Quando saprò che ho delle realizzazioni?” o ancora “Qual è il modo più veloce e facile per raggiungere l’illuminazione?” Uno dei problemi più frequenti sembra essere quello di fare della pratica del Dharma un altro obiettivo da raggiungere.
I testi ci insegnano che abbiamo bisogno di energia e di dedizione per avanzare lungo il sentiero, proprio come per diventare abili in qualsiasi attività o sport. Eppure è facile cadere nello stereotipo, o nella trappola, di rendere rigida e troppo ambiziosa la pratica. Ci deprimiamo quando ci sembra di non fare progressi, quando meditiamo e pare che non accada mai nulla, oppure quando non riusciamo a rivivere una sensazione che avevamo sperimentato all’inizio. Le nostre stesse aspettative creano una barriera al naturale sviluppo del potenziale della mente.
Il Dharma dovrebbe rendere la nostra vita più felice e meno opprimente. “Possiamo noi essere promotori della gioia!”, diceva il Buddha. Il Dharma dovrebbe essere come il lievito nell’impasto pesante della nostra esistenza quotidiana e rendere le giornate più leggere e digeribili. Ma se la nostra pratica diventa un altro macigno nello zaino della vita, rendendo tutto ancor più gravoso e stressante, allora c’è qualcosa che non sta andando per il verso giusto.
Nella famosa similitudine del liuto, il Buddha ha spiegato che così come le corde di uno strumento non dovrebbero essere né troppo tese né troppo allentate, così anche la nostra pratica dovrebbe essere ben accordata, non troppo intensa e né troppo rilassata. Come un maratoneta, dobbiamo andare avanti da soli.
Dobbiamo incoraggiare noi stessi e i nostri amici praticanti a rilassarci e a smettere di prenderci così drammaticamente sul serio. A volte penso che la settima paramita dovrebbe essere il senso dell’umorismo!
Onestamente, è molto improbabile che riusciremo a raggiungere la piena illuminazione in questa vita. E allora? Allora abbiamo innumerevoli vite future per continuare il nostro lavoro. Nel frattempo, in questa vita, possiamo permetterci di rilassarci un po’ e goderci i fiori, pur continuando a seguire il sentiero.
[ Jetsunma Tenzin Palmo – Tradotto (da Carolina Lami) – da Stop Taking Yourself So Seriously ]