Una delle più antiche professioni di fede del buddhismo consiste nel prendere rifugio in quelli che vengono chiamati i tre gioielli: il Buddha stesso, la persona che si risvegliò sotto l’albero della bodhi duemilacinquecento anni fa; il dharma, la verità, la legge e il corpus degli insegnamenti; e il sangha, che allude, in modo specifico, all’ordine dei monaci e delle monache e, in senso più generale, alla comunità dei saggi. “Io prendo rifugio nel Buddha, io prendo rifugio nel dharma, io prendo rifugio nel sangha”.
Nel loro significato più profondo, tuttavia, questi rifugi si rivolgono alle nostre azioni e ai nostri stati mentali. Benché possano esserci false partenze e vicoli ciechi all’inizio del viaggio, se l’interesse è sincero faremo ben presto una scoperta capace di cambiare la nostra vita: ciò che stiamo cercando è dentro di noi. Lo scrittore Wei Wu Wei, un inglese che visse per molti anni a Hong Kong, colse il senso di questo volgersi all’interno quando scrisse: “Ciò che stiamo cercando è ciò che cerca”. Il Buddha stesso sollecita tale comprensione. Nel Parinibbana Sutta, l’ultimo discorso che pronunciò prima di morire, esorta: “Siate isole per voi stessi; siate rifugi per voi stessi; tenetevi stretti al Dhamma come a un’isola; tenetevi stretti al Dhamma come a un rifugio; non cercate rifugio in nessun altro salvo che in voi stessi. Chiunque sia un’isola e un rifugio per se stesso sarà, tra coloro che cercano l’illuminazione, colui che raggiungerà la vetta”.
Nel buddhismo tibetano si prende rifugio con una formula che si rivolge alla natura sostanziale della mente:
Nella essenza vuota, dharmakaya,
Nella natura luminosa, sambhogakaya,
E nella caratteristica molteplice, nirmanakaya,
Prendo rifugio fino all’illuminazione.
Questi termini sanscriti, ricchi di significato, si rivolgono alla natura aperta, suprema, vuota della mente, al suo luminoso potere di prendere cognizione, alla sua infinita capacità di risposta. Il nucleo di ‘un solo dharma’ di liberazione è dunque il volgersi all’interno della fede e della comprensione, non verso il sé ma verso il punto zero della gravità in cui il sé è assente. Riconoscere che l’intero dharma si trova nel corpo e nella mente cambia il significato e la qualità della fede. Non cerchiamo più le soluzioni all’esterno. Abbiamo visto dov’è il sentiero. Tutto ciò che ci serve sono gli abili mezzi che ci aiutino a percorrerlo.
[ Da: Joseph Goldstein, “Un solo dharma. Il crogiolo del nuovo buddhismo“ ]
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