Praticando l’ascolto interiore, cominciamo a riconoscere il sussurro del senso di colpa, del rimorso e del desiderio, dell’invidia e della paura, della brama e dell’avidità. A volte ascolterete cosa dice la brama: “Vorrei, devo avere, devo avere, voglio, voglio!”. A volte non ha neppure un oggetto preciso. Non può esserci una brama senza oggetto, per cui le troviamo un oggetto. Il desiderio di ottenere: “Voglio qualcosa, voglio qualcosa! Devo averlo, voglio…” Ascoltate la mente, forse lo sentirete. Di solito riusciamo a trovare un oggetto per la nostra brama, per esempio il sesso, oppure passiamo il tempo a fantasticare.
La brama può prendere la forma del cercare qualcosa da mangiare, o in cui immergersi completamente, del diventare qualcosa, o unirsi a qualcosa. La brama sta sempre di vedetta, sempre alla ricerca di un oggetto. Può essere un oggetto gradevole permesso ai monaci, come una bella veste o una ciotola o un cibo saporito. Notate la tendenza a volerlo, a toccarlo, cercare di procurarselo, averlo, possederlo, appropriarsene, consumarlo. È la brama, una forza della natura che va riconosciuta; non condannata pensando “sono un individuo spregevole perché desidero”, perché anche questo fa da rinforzo all’io, vi pare? Come se dovessimo essere completamente esenti da brama, come se esistessero esseri umani che non fanno esperienza del desiderio!
Sono condizioni naturali che dobbiamo riconoscere e notare; non per condannarle, ma per comprenderle. Così cominciamo veramente a conoscere il movimento mentale della brama, dell’avidità, del ricercare qualcosa, come pure del desiderio di farla finita con qualcosa. Anche di questo si può essere testimoni, del desiderio di sbarazzarci di quello che abbiamo, di una situazione o anche del dolore: “Voglio farla finita con questo dolore, con le mie debolezze, con il torpore, con la mia irrequietezza; con la mia brama. Voglio liberarmi di tutto ciò che mi dà fastidio. Perché Dio ha creato le zanzare? Voglio liberarmi dalle seccature”.
Il desiderio dei sensi è il primo degli impedimenti (nivarana). Il secondo è l’avversione; la mente è ossessionata dal non volere, da irritazioni e risentimenti meschini, nonché dal desiderio di eliminarli. Quindi questo è un ostacolo alla visione interiore, è un impedimento. Non sto dicendo che bisogna eliminare l’impedimento — sarebbe avversione — ma che bisogna conoscerlo, conoscerne la forza, comprenderlo per esperienza diretta. Allora si prende coscienza del desiderio di sbarazzarsi di cose che sono dentro di sé, o attorno a sé, del desiderio di non esserci, di non essere vivi, di non esistere più. È per questo che ci piace dormire, no? Perché per un po’ ci consente di non esistere. Nella coscienza caratteristica del sonno non esistiamo, perché la sensazione stessa di essere vivi viene a mancare. C’è un annullamento. È per questo che alcune persone dormono molto, perché vivere è troppo doloroso per loro, troppo noioso, troppo sgradevole. Quando siamo depressi, dubbiosi, disperati, cerchiamo scampo nel sonno, cerchiamo di annullare i nostri problemi, estromettendoli dalla coscienza.
Il terzo impedimento è rappresentato da stati come sonnolenza, apatia, ottundimento, indolenza, torpore fisico e mentale, ai quali tendiamo a reagire con avversione. Ma è sempre qualcosa che può essere compreso. L’opacità può essere conosciuta, la pesantezza fisica e mentale, il movimento lento, opaco. Osservate l’avversione per questi stati, il desiderio di sbarazzarvene. Osservate la sensazione di opacità nel corpo e nella mente. Anche la conoscenza del torpore è mutevole, è insoddisfacente, impersonale.
L’irrequietezza è l’opposto del torpore; è il quarto impedimento. Non si è affatto opachi, né sonnolenti, ma viceversa agitati, nervosi, ansiosi, tesi. Anche qui può non esserci un oggetto specifico. Diversamente dalla sonnolenza, l’irrequietezza è uno stato più ossessivo. Si vorrebbe essere attivi, correre, fare questo, fare quello, parlare, andare in giro, agitarsi. E se dovete stare seduti immobili per un po’ quando vi sentite irrequieti, vi sentite in trappola, chiusi in gabbia; non pensate ad altro che a saltare, correre in giro, darvi da fare. Anche di questo si può essere consapevoli, specialmente quando si è contenuti da una forma che non ci consente di seguire l’irrequietezza. L’abito che indossano i bhikkhu non invoglia ad arrampicarsi sugli alberi e penzolare dai rami. Non potendo agire questa tendenza salterina della mente siamo costretti a osservarla.
Il quinto impedimento è il dubbio. A volte i nostri dubbi ci sembrano importantissimi, e ci piace dar loro parecchia attenzione. Siamo facilmente ingannati dalla natura del dubbio perché sembra molto reale: “Certi dubbi sono futili, è vero, ma questo è un Dubbio Importante. Devo conoscere la risposta. Devo essere sicuro. Devo saperlo assolutamente: meglio fare questo oppure quest’altro? Sto facendo bene? Dovrei andarmene o restare un altro po’? Sto sprecando il mio tempo? Ho sprecato la mia vita? Il Buddhismo è la via giusta oppure no? Forse non è la religione giusta!”. È il dubbio. Si può passare tutta la vita a chiedersi se sia meglio fare questo o quello, ma una cosa sola si può sapere: che il dubbio è una condizione della mente. A volte prende forme sottili e ingannatrici. Assumendo la posizione del “conoscitore”, conosciamo il dubbio in quanto tale. Importante o futile che sia, è semplicemente dubbio, tutto qui. “Devo restare qui o andarmene altrove?”: è un dubbio. “Devo fare il bucato oggi o domani?”: è un dubbio. Non importantissimo, ma poi ci sono quelli importanti. “Sono già un sotapanna? (uno che ha raggiunto il primo livello dell’illuminazione). Ma cos’ è in definitiva un sotapanna? Ajahn Sumedho è un arahat, un illuminato? Esistono ancora arahant al giorno d’oggi?”. Poi i seguaci di altre religioni vengono a dirci che la nostra è sbagliata e la loro è quella giusta. “Forse hanno ragione! Forse siamo in errore”. Ciò che possiamo sapere è che c’è il dubbio. In questo modo siamo il conoscere, conoscere ciò che si può conoscere, sapere che non sappiamo. Anche quando ignorate qualcosa, se siete consapevoli di non sapere, quella consapevolezza è conoscenza.
Sicché, “essere il conoscere” significa questo, conoscere ciò che si può conoscere. I cinque impedimenti sono i vostri maestri, perché non sono i guru esaltanti e radiosi che si vedono sui libri. Possono essere alquanto volgari, meschini, sciocchi, irritanti e ossessionanti. E ci incalzano, ci punzecchiano, ci riducono a mal partito, finché non gli diamo l’attenzione e la comprensione dovute, finché non smettono di essere problemi. Ecco perché bisogna essere molto pazienti; dobbiamo avere tutta la pazienza del mondo, e l’umiltà di imparare dai nostri cinque maestri.
E che cosa impariamo? Che non sono altro che condizioni della mente, che sorgono e passano, che sono insoddisfacenti, impersonali. A volte si ricevono messaggi importanti nella vita. Tendiamo a dare credito a questi messaggi, ma ciò che possiamo sapere è che sono condizioni mutevoli: e se abbiamo la pazienza di tollerarle fino in fondo, le cose cambiano automaticamente, per conto loro, e noi abbiamo l’apertura e la chiarezza mentale per agire spontaneamente, invece di reagire alle condizioni.
Grazie alla nuda attenzione, alla consapevolezza, le cose fanno il loro corso, non c’è bisogno di sbarazzarsene, perché tutto ciò che ha principio, ha fine. Non c’è nulla da eliminare, bisogna solo essere pazienti e lasciare che tutto faccia il suo corso naturale verso la cessazione.
Quando siete pazienti, lasciando che le cose cessino, cominciate a conoscere la cessazione – il silenzio, il vuoto, la chiarezza: la mente è limpida, quieta, ed è vibrante, non cade nell’oblio, non è repressa o addormentata, e si può udire il silenzio della mente.
Consentire la cessazione significa essere molto gentili, molto delicati e pazienti, umili, senza schierarsi dalla parte di nulla: del bene, del male, del piacere o del dolore. L’accettazione gentile permette alle cose di cambiare secondo la propria natura, senza interferenze. Allora impariamo a distoglierci dal desiderio di immergerci negli oggetti dei sensi. Troviamo la pace nel vuoto della mente, nella sua chiarezza, nel suo silenzio.
[ Da: Ajahn Sumedho, “Oltre la morte: la via della consapevolezza“ ]
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– Achaan Sumedho (macrolibrarsi)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Ajahn_Sumedho