«Quando ci si trova faccia a faccia con il male, si ha più che mai bisogno della minima particella di bene. Si tratta di fare in modo che la luce continui a risplendere nelle tenebre, e la vostra candela non ha senso se non nell’oscurità.»
(Jung – Lettera a padre Victor White, Oxford, 24 Novembre 1953)
«Il Cristianesimo ci ha abituati a scindere rigorosamente Bene e Male, senza possibilità di conciliazione. Ma così “il nostro dio reale” è diventato “la rispettabilità”. Il mondo, quando si elimina l’Ombra, diventa insipido, come narra la parabola ebraica dell’uomo pio che, ottenuto da Dio di essere liberato dal demone della passione, scoprì che rose e vino e donne non sapevano più di niente. Il mondo si era impoverito.»
(di Augusto Romano, pubblicato come Saggio introduttivo a C. G. Jung, Seminario sui sogni)
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«Tu soffri a causa del male, perché segretamente lo ami, senza esserne consapevole dinanzi ai tuoi occhi. Vorresti sfuggirlo e cominci a odiarlo. E ancora una volta resti legato al male dal tuo odio perché, sia che tu lo ami sia che lo odi, per te è lo stesso: sei legato al male. Il male va accettato. Quel che vogliamo, rimane nelle nostre mani. Ciò che non vogliamo, ma che è più forte di noi, ci trascina con sé e noi non possiamo fermarlo, senza recar danno. La nostra forza resta infatti incatenata al male. Dunque dobbiamo accettare il nostro male, senza amore né odio, riconoscendo che esso esiste e che deve avere la sua parte nella vita. In questo modo gli togliamo la forza di sopraffarci.»
(C. G. Jung – Libro Rosso)
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«L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevoli alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito.»
(C. G. Jung)
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«Forse egli deve sperimentare e sopportare il male e la sua potenza perché soltanto così può rinunciare al suo fariseismo di fronte agli altri uomini. Forse il destino, l’inconscio o Dio, o come lo si vuole chiamare, deve lasciare che egli sbatta opportunamente la testa e cada nel fango, perché soltanto un’esperienza massiccia lo tocca strappandolo, almeno per un bel pezzo, al suo infantilismo e rendendolo più maturo.»
(Jung 1959)
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– Fonte