Pensieri e considerazioni sulla paura di: Desjardins, Montaigne, Aivanhov, Thich Nhat Hanh, Sogyal Rinpoche, Vivekananda, Huang-po; e da: Chandogya Upanishad, Isha Upanishad, Astavakra Gita.
“Ciò che è veramente importante è che vi liberiate dalla paura di vivere. Questa paura di vivere comporta due aspetti: da una parte la paura di tutto ciò che portiamo in noi stessi, dall’altra la paura di situazioni concrete con le conseguenze a cui possono dare origine. La paura di vivere diviene ben presto paura di soffrire: meglio vivere meno per soffrire meno. Osservate, domandandovi se questo vi riguarda o no …. Avete paura di vivere, perché vivere significa assumersi il rischio di soffrire. Questa paura ha le sue radici nelle vostre esperienze passate …. Bisogna aver chiaro che, per chi è impegnato nel cammino della saggezza e vuole a poco a poco penetrare il mistero della sofferenza, è indispensabile assumersi il rischio di vivere e di soffrire.
Se desiderate raggiungere una spiritualità che non sia una caricatura, abbiate il coraggio di riconoscere tutta la forza vitale che esiste nel bambino e che in voi è rivolta contro se stessa ….. Sono convinto che gran parte di ciò che attribuiamo all’avanzare dell’età derivi dalla repressione della forza vitale che è in noi.” (Arnaud Desjardins, L’audacia di Vivere, cap. 1)
La paura può essere paragonata ad una paralisi. “C’è una cosa di cui dobbiamo avere paura, essa è …. la paura”. (Montaigne)
“Sul lungo cammino della vita, noi avanziamo circondati da pericoli di ogni genere, e non sappiamo mai cosa ci possa capitare. Ma quali che siano i pericoli, l’importante è imparare a dominare la paura.
La paura paralizza la riflessione, spinge il corpo ad atti disordinati di fronte a ciò che è, o sembra essere, un pericolo. Allora, se qualcosa vi spaventa, cominciate col restare immobili per qualche secondo, e respirate profondamente per ritrovare la padronanza del vostro cuore, del vostro sistema nervoso e delle vostre membra. Se permettete alle vostre membra di agitarsi, perderete ogni controllo su di esse. È come se apriste a delle belve la porta della loro gabbia: una volta che queste sono uscite, è difficilissimo farle rientrare. Se invece installate altri riflessi al posto di quell’agitazione, vi calmate, tutto rientra nell’ordine, e voi potete agire efficacemente.” (Omraam Mikhael Aivanhov)
Non devi aver paura che la vecchiaia invada quella città; non devi aver paura che questo tesoro interiore pienamente reale si esaurisca e decada. Esso non conosce età quando il corpo invecchia; non conosce morte quando il corpo muore. Esso è la vera città del Brahman: è il sé, libero dalla vecchiaia, dalla morte e dal dolore, dalla fame e dalla sete. Nel sé tutti i desideri sono soddisfatti. (Chandogya Upanishad)
I governi hanno bisogno di nemici per manipolare il popolo. Vogliono che si abbia paura, che si odi, in modo che ci si schieri con loro. E se non hanno un vero nemico, ne inventeranno uno per mobilitarci. (Thich Nhat Hanh)
Coloro che vedono tutte le creature in se stessi e se stessi in tutte le creature non conoscono la paura. Coloro che vedono tutte le creature in se stessi e se stessi in tutte le creature non conoscono la pena. Come può la molteplicità della vita illudere colui che ne vede l’unità? (Isha Upanishad)
Forse la ragione più profonda per cui abbiamo paura della morte è che non sappiamo chi siamo. Crediamo in un’identità personale, unica e separata dal mondo, ma se osiamo esaminarla, ci rendiamo conto che quest’identità dipende interamente da una serie infinita di cose per manifestarsi: il nostro nome, la nostra «biografia», i nostri partner, la famiglia, la casa, il lavoro, gli amici, le carte di credito. È sul loro fragile e transitorio sostegno che contiamo per la nostra sicurezza. Così, qualora ci venisse tolto tutto, avremmo ancora un’idea di chi realmente siamo? Senza i nostri familiari puntelli ci troveremmo semplicemente di fronte a noi stessi, una persona che non conosciamo, uno snervante sconosciuto col quale abbiamo vissuto tutto il tempo, ma che non abbiamo mai realmente desiderato incontrare. Non è forse perché abbiamo cercato di riempire ogni attimo di tempo col rumore e l’attività, per quanto noiosa o insignificante, per assicurarci di non essere mai lasciati da soli in silenzio con questo sconosciuto? (Sogyal Rinpoche)
Dove sono il sogno, il sonno profondo e la veglia, e dove il quarto stato? Dove è poi la paura, per me che dimoro nella mia stessa gloria? Dove sono la distanza e la vicinanza, l’esterno e l’interno, il grossolano e il sottile, per me che dimoro nella mia stessa gloria? (Astavakra Gita, 19, 5-6)
Ogni qualvolta sopraggiunge l’oscurità, asserisci la realtà e tutte le avversità spariranno. Perché, dopo tutto, non è che un sogno. Per quanto le difficoltà possano apparire insuperabili come montagne, per quanto le cose possano sembrare terribili e buie, esse non sono che maya. Bando al timore. Affrontalo e sparirà. Schiaccialo e perirà. Non aver paura. Non pensare a quante volte sei caduto. Non importa: il tempo è infinito. Va’ avanti. Continua a riasserire la realtà e la luce dovrà venire. (Vivekananda)
Le genti hanno paura di dimenticare la propria mente, temendo di cadere nel vuoto con niente cui potersi aggrappare. Non sanno che il vuoto non è in realtà il vuoto, ma il vero regno del Dharma, che non può essere cercato o inseguito, compreso da saggezza o cognizione, spiegato in parole, toccato materialmente, o raggiunto da un’opera meritoria. (Huang-po)