Soltanto chi si incammina verso le cose ultime è un pellegrino. In questo sta la tremenda differenza fra un pellegrino e un turista. Il turista viaggia soltanto molto lontano, a volte con zelo e grande coraggio, in cerca di qualcosa da raccattare (una serie di avventure, un racconto meraviglioso o due); ma quando torna è la stessa persona di quand’è partito.
C’è qualcosa d’inesprimibilmente triste nel mucchio di effetti personali che un turista toglie dai bagagli quando ritorna a casa. Il pellegrino è diverso. È risoluto a tornare diverso da come è partito. Il pellegrinaggio è un passaggio sottile e rischioso. Il pellegrino – la metafora ci viene da periodi distanti nel tempo – dev’essere preparato a liberarsi delle scorie della personalità o perfino del corpo come di un abito consunto. Un proverbio buddista dice che «esiste il viaggio ma non il viaggiatore». Per il pellegrino la strada è la casa; giungere a destinazione sembra quasi illogico.
(Andrew Schelling)
Il pellegrino Bhaggava accusò il Buddha di insegnare che l’universo è nato per caso. Il Buddha rispose: “Ho sentito altri della tua setta, Bhaggava, affermare che quando mi sono svegliato ed ho visto la verità, che era bella, sono rimasto in quella beatitudine e da allora considero l’universo brutto e insignificante al confronto. Ma non ho mai insegnato ciò, Bhaggava. Questo è ciò che dico: ‘Ogni volta che uno si sveglia e vede il bello, allora comprende che cosa sia effettivamente la bellezza’”.
(Dall’antica letteratura buddista)
“I cristiani fanno dei pellegrinaggi in Terra Santa, nei luoghi dove Gesù è nato, ha predicato e ha compiuto dei miracoli. Tuttavia, anche se sopravvive ancora qualche pietra, lo spirito di Gesù non c’è più. Da secoli, troppe persone sono passate di là con sentimenti e pensieri che non erano né luminosi né puri. Direte che a partire dal Medio Evo la cristianità si è preoccupata di proteggere i luoghi santi. Si, lottando contro gli “infedeli”, massacrando e saccheggiando. Sono metodi assai strani per conservare le tracce del passaggio di Gesù! Se si vogliono conservare le impronte lasciate dagli esseri spirituali, bisogna rispettare i luoghi in cui esse si trovano. Inoltre, non basta avere un certo atteggiamento esteriore, ossia evitare di gridare, di ridere o di scherzare. L’atteggiamento interiore – i pensieri e i sentimenti – è altrettanto importante. Troppe persone che hanno calcato quella terra di Palestina non erano ispirate da virtù cristiche, e lo spirito di Gesù ha lasciato quei luoghi.”
(Aïvanhov)
Il modo di viaggiare del pellegrino: storicamente attento alla complessità della realtà con cui viene in contatto.
La memoria: portatore di fede e cultura, il pellegrino tende infatti a conservare la memoria dei luoghi visitati e talvolta si adopera per riprodurre in patria, in toto o in parte, gli edifici e l’ambiente della sua meta.
Comune a tutte le grandi religioni, dall’Ebraismo al Cristianesimo e all’Islam, dall’Induismo al Buddhismo e al Sikhismo, passando per la cultura egizia, precolombiana, cinese, giapponese, iraniana e senza tralasciare l’antichità greco-romana e la cultura bizantina, la pratica del pellegrinaggio ha origini lontane che vanno ricercate nelle più antiche civiltà del mondo.
(Appunti letti sul web)