Quando la tua mente avrà superato la confusione della dualità, raggiungerai la condizione di santa indifferenza alle cose che odi e che hai udito. Quando non sarai più spinto dalla confusione delle idee e la tua mente sarà completamente unita in profonda concentrazione, tu raggiungerai la condizione dello yoga perfetto. (Bhagavad Gita 2:52-53)
Irretito dall’ignoranza, sopravvivo creandomi un destino coi miei atti impulsivi. Identificandomi, entro in situazioni in cui la personalità si dispiega e il mondo impatta sul mio animo sensibile. La personalità crea l’identificazione, proprio come l’attenzione, l’occhio e una forma colorata producono la visione. L’impatto è la confluenza dell’identificazione e del mondo. Conduce a esperienze che bramo di fare e/o di evitare. La sete di sensazioni m’inclina alla sensualità, alle opinioni, alle regole e ai ruoli. Attaccamento è insistere ad essere «qualcuno»; non-attaccamento è esser liberi d’essere nessuno. Essere «qualcuno» vuol dire esser compresi nel ruolo, impulsivi, in balìa del pensiero, identificati col corpo, che è nato, invecchia, muore, soffre tormenti, dolore, dispiaceri, depressione, ansia. L’angoscia emerge quando «qualcuno» nasce. Gli atti impulsivi sono all’origine della vita. Gli sciocchi sono impulsivi, ma i saggi vedono come stanno le cose. Quando la confusione cessa, con la giusta visione, anche gli atti impulsivi cessano. Arrestando ciò che non accadrà, l’angoscia finisce. (Stephen Batchelor, libera trad. del cap. 26 della Madhyamaka Kârikâ di Nâgârjuna)