La dottrina di anatman, «non-sé», è centrale nell’insegnamento del Buddha, ma non nega che il concetto di un «io» sia funzionale alla vita quotidiana; infatti abbiamo bisogno di un ego solido e stabile per operare come si deve nella società. Tuttavia, questo «io» non è reale in senso ultimo. È solo un nome: una costruzione fittizia che non trova alcuna corrispondenza nella realtà dei fatti.
A causa di questa incomprensione consegue ogni genere di problema. Una volta che la mente ha prodotto la nozione di un «io», questo diviene il nostro punto di riferimento centrale. Ci attacchiamo e ci identifichiamo completamente con esso. Cerchiamo di portare avanti quello che sembra essere il suo interesse, di difenderlo dalle minacce e dai pericoli reali o immaginari. E cerchiamo l’auto-affermazione ad ogni piè sospinto: vogliamo la conferma che esistiamo e che siamo apprezzati. Il nodo gordiano delle preoccupazioni derivanti da tutto questo ci assorbe completamente, talvolta fino al punto di ossessionarci. Questo è, tuttavia, un modo ristretto e angusto di esistere. Anche se, una volta presi nelle spire dell’ego, non possiamo vederlo, c’è in noi qualcosa di più grande e di più profondo: un modo d’essere totalmente diverso.
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