L’abnegazione è la caratteristica più sottile e più difficile da osservare. Tuttavia, quando la scopriamo per conto nostro, avvertiamo un senso di libertà che le parole non possono descrivere. (Matthew Flickstein, “Viaggio al centro”)
Abnegazione, dal latino abnegare (ab+negare), significa rinunciare al proprio egoismo a favore del bene comune: “Se, rinunciando a una piccola felicità, si può realizzare una felicità più grande, il saggio rinunci pure alla piccola, tenendo presente la grande”. (Dhammapada, 290)
Non coloro che difettano di energia e s’astengono dall’agire, ma coloro che agiscono senza aspettarsi una remunerazione conseguono l’obiettivo dello yoga. E’ la loro la vera rinuncia. (Bhagavad Gita 6:1)
Colui che compie il proprio dovere (nello specifico, il proprio esercizio di meditazione – ndr) senza attendersi una ricompensa è un rinunciante e uno yogin, non già chi accende il fuoco sacrificale, né chi non svolge alcuna attività. Sappi, o Arjuna, che è proprio questa la disciplina chiamata rinuncia; in verità, nessuno diventa uno yogin senza rinunciare al proprio intento. (Saggezza Vedica – Bhagavad Gita, VI, 1-2)
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