L’eleganza, la bellezza della semplicità e dell’innocenza sono perse per l’uomo. Occorre crescere verso la vulnerabilità, la tenerezza, la duttilità della meditazione e allora soltanto l’uomo sarà degno del proprio nome.
Leggiamo alcuni brani tratti da Il mistero del silenzio di Vimala Thakar, maestra spirituale indiana, ex-allieva di Jiddu Krishnamurti e molto sensibile anche verso la questione sociale (indiana e generale) – qualcosa di abbastanza raro tra i cosiddetti “maestri spirituali”:
“Bisogna imparare che cos’è l’osservazione. Se io sono colui che esperisce, allora verrò coinvolto nel processo di esperire, e non sarò capace di osservare il movimento della mente. […]
Mentre sedevamo per qualche minuto in silenzio, dovete aver notato il pianto di un bambino. La mente faceva resistenza? Se la mente resiste allora c’è una frizione, e la frizione sfocia nella noia e nell’irritazione, e lo stato di osservazione va perduto. Ogni reazione nasce dalla resistenza. […] Non resistete […]. Avete mai notato le resistenze agli eventi della vita? […] L’emozione crea una resistenza, una divisione. Voi volete interpretare l’evento, identificarlo, riconoscerlo, valutarlo, dargli un’etichetta e collocarlo nella memoria sotto qualche categoria, in modo che tale esperienza vi sia utile per un’ulteriore interpretazione degli eventi. Desideriamo avere una difesa, e le esperienze sono parte del meccanismo di difesa, così come lo è la conoscenza. Abbiamo paura di essere esposti alla vita, di vivere in uno stato di innocenza, di assoluta, incondizionata vulnerabilità al nudo tocco della vita così com’è […]. Vogliamo coltivare le resistenze, acquisire risposte sotto forma di esperienza, immagazzinarle nella memoria, cosicché si possa aprire il cassetto o lo schedario della memoria, riferirsi a esso ogni qualvolta ci sia una sfida e tirar fuori la risposta condizionata. […]
Avete notato quanto è monca, sbilanciata la crescita dell’uomo? Egli ha raffinato il cervello perdendo l’eleganza della semplicità; ha perso la capacità di guardare le cose senza nessun movente, con innocenza, senza trasformare l’atto e l’oggetto di osservazione in un mezzo volto a un fine. L’eleganza, la bellezza della semplicità e dell’innocenza sono perse per l’uomo. Occorre crescere verso la vulnerabilità, la tenerezza, la duttilità della meditazione e allora soltanto l’uomo sarà degno del proprio nome.
[…] L’uomo vive in uno stato più o meno nevrotico. Le nostre risposte sono inibite, le nostre percezioni condizionate. Non c’è alcuna spontaneità nella vita. Soltanto un processo meccanico di reazione in conformità con il condizionamento, la tradizione, le ambizioni, i movimenti personali e così via. […]
Occorre stare quietamente con se stessi per un po’ di tempo a osservare il movimento del pensiero, nello stato di osservazione. Bisogna impararlo, perché, non appena vi ponete nello stato di osservazione, riemerge la vecchia abitudine dell’introspezione, della valutazione. In una frazione di secondo lo stato di osservazione può andar perduto: allora diventate il giudice, colui che fa, colui che esperisce. Bisogna educarsi di giorno in giorno. […] Non è facile quello stato di osservazione in cui non fate qualcosa, in cui non siete attivi, né inattivi, in cui non state oziando e nemmeno non facendo; in cui l’attività mentale dualistica è tenuta in acquiescenza e resta attiva soltanto l’osservazione, né colui che fa, né colui che esperisce“.
Citazioni tratte da: Vimala Thakar, On an Eternal Voyage (Vimal Parivar: Bombay, 1994) e Vimalaji’s Global Pilgrimage, ed. Kaiser Irani (Vimal Prakashan Trust, Ahmedabad, 1996).
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