Quando ci concentriamo di meno su noi stessi, diventiamo più pienamente coinvolti nella nostra vita. Provando sempre meno devozione per il nostro piccolo io egocentrico, diminuendo progressivamente la fedeltà a un’opinione fissa su chi siamo o di che cosa siamo capaci, scopriamo di avere sempre meno paura di accettare il mondo così com’è. Come ha detto una volta Leonard Cohen parlando dei benefici di molti anni di meditazione: “Meno il mio io era presente e più ero felice”.
Lasciar andare il sé fisso non e però qualcosa che possiamo limitarci a desiderare. È invece qualcosa a cui ci predisponiamo con ogni gesto, ogni parola, ogni azione e ogni pensiero. O ci muoviamo nella direzione del lasciar andare e del rinforzare quella facoltà, oppure andiamo verso il mantenimento e il consolidamento dell’abitudine basata sulla paura. Possiamo scegliere la realtà – starvi dentro, essere qui, rivelarci, essere aperti, volgerci verso le immagini, i suoni e i pensieri che ci attraversano la mente – oppure possiamo scegliere di voltarci dall’altra parte. Ma se distogliamo lo sguardo, possiamo essere certi che finiremo per rimanere bloccati nello stesso vecchio schema di sofferenza, senza mai avvicinarci all’esperienza del risveglio, senza mai avvicinarci all’esperienza della sacralità della nostra esistenza.