La mente del passato è cessata ed è scomparsa. La mente futura non è sorta o è apparsa. La mente presente è molto difficile da esaminare. Se si analizza e si indaga ciò che può essere mostrato attraverso i ragionamenti – che la mente presente non ha colore o forma; che, come lo spazio, non esiste; che non è né singolare né plurale; che non sorge; o che è naturalmente luminosa – ci si rende conto che non esiste.
Se le entità materiali e non materiali sono cose che non hanno alcuna essenza e che sono semplicemente inesistenti, anche il discernimento prajñā (in ambito buddhista la prajñā è la “conoscenza/saggezza suprema” che consente di raggiungere in modo diretto il risveglio spirituale) non esiste. Un’analogia è il fuoco: il fuoco che nasce dallo sfregamento di due bastoni insieme brucerà i bastoni e, quando non esistono più, il fuoco che li ha consumati si spegnerà da solo.
Allo stesso modo, quando prajñā ha dimostrato che tutti i fenomeni – sia quelli specificamente caratterizzati e generalmente caratterizzati – non esistono, quella prajñā scompare ed è la luminosità, che non ha alcuna essenza. Così, tutto ciò che potrebbe essere un difetto (come l’ottusità o l’agitazione) viene cancellato.
A questo punto, la mente non pensa a nulla, non afferra a nulla. La coscienza e l’attenzione sono messe da parte. Finché il nemico, o il ladro, – il caratterizzare o concettualizzare – non si presenta, la mente riposa così.
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