I sensi umani percepiscono solo una banda molto ristretta nello spettro delle lunghezze d’onda conosciute. Ma se subissero qualche tipo di alterazione vedremmo un mondo dall’aspetto piuttosto diverso. Esiste un numero infinito di frequenze vibrazionali: mondi all’interno di mondi, all’interno di altri mondi ancora. Tuttavia, possedere dei sensi e osservare è fondamentalmente un processo selettivo, che capta determinate vibrazioni all’interno di una gamma più estesa. Quando si suona il piano non si premono contemporaneamente tutti i tasti con entrambe le mani, si fa una selezione. La percezione somiglia un po’ a suonare il piano. Si scelgono alcune cose ritenute rilevanti, vale a dire dei modelli costitutivi. L’intero universo sembra essere un processo che consiste nel suonare dei modelli. Ma a prescindere da quale modello esso suoni (a prescindere da cosa faccia in qualunque dimensione o scala temporale e spaziale) è tutto sul sé.
Questo è un famoso kōan zen: «Prima che tuo padre e tua madre ti concepissero, qual era la tua natura originaria?». Chi eri prima di nascere in questa vita? E’ lo stesso tipo di strana domanda che chiede come sarebbe addormentarsi e non risvegliarsi più, o che effetto vi ha fatto svegliarvi senza esservi addormentati in precedenza. E’ molto misteriosa. Nell’esplorare simili interrogativi si comincia ad avvertire la profonda stranezza della propria esistenza. Strana, perché si è qui, e sarebbe stato molto facile anche non esserci. Se i vostri genitori non si fossero mai incontrati, sareste qui adesso? Se i vostri genitori avessero incontrato altre persone e avessero avuto dei figli, uno di quei figli sareste voi? Naturalmente, sì. Vedete, potete essere voi solo essendo qualcuno, ma ognuno di quei qualcuno è voi: ogni qualcuno è io. Tutti percepiscono quell’io allo stesso modo. E’ la stessa sensazione, proprio come il blu è lo stesso colore ovunque. Quella sensazione di individualità consapevole è la cosa più fondamentale insita nelle persone e nell’universo. Il nostro io proviene dall’io centrale come avviene per il singolo rametto cresciuto su un ramo più grande di un albero enorme, e questo spiega perché le divinità induiste sono rappresentate con molte braccia e molti volti. Tutte le braccia appartengono al divino; tutti i volti sono sue maschere.
In altre parole, non c’è nulla di cui preoccuparsi: la parte importante di voi è assolutamente indistruttibile. Tutti i nostri fa e disfa, le nostre alterne fortune, sono tutti una specie di miraggio. E più ne sappiamo di essi, più ne sappiamo del mondo, più esso ci appare evanescente: tutto ciò che vi è nel mondo ha le caratteristiche del fumo. Se osservate il fumo attraverso un raggio di sole, è pieno di disegni e ghirigori, e di ogni genere di meraviglie. E poi scompare. Anche tutto il resto è così.
Rispetto a questo si possono avere due diversi atteggiamenti: da un lato si può vedere tutto come qualcosa di molto negativo. Si provano tante sensazioni di amore, attaccamento e gioia, ma alla fine i denti cadono, la vista si indebolisce, ci viene il cancro, la cirrosi epatica o qualcosa del genere, e tutto va a farsi benedire. Insomma, uno schifo! Allora si decide di non sviluppare attaccamento verso le cose, non ci si gode la vita e la si tiene a una spanna di distanza, come un amante scaricato. Dall’altro lato, si riesce a percepire l’incredibile bellezza delle volute di fumo, a patto di non farvi affidamento: si riesce a vedere tutto meraviglioso, fintanto che non si cerca di conservarlo o di afferrarlo. È allora che lo si distrugge. Esattamente allo stesso modo, non c’è assolutamente niente nel dominio della forma su cui poter fare affidamento o a cui aggrapparsi. Una volta capito questo, il mondo delle forme è molto bello (se lo si lascia andare).
[ Da: Alan Watts, “Lo zen e l’arte di imbrogliare la mente“ ]
– Alan W. Watts (macrolibrarsi)
– Alan Watts (amazon)
– https://it.wikipedia.org/wiki/Alan_Watts