La nostra mente è reattiva: sempre incline a gradire e a rifiutare, a giudicare e a confrontare, ad attaccarsi e a condannare. La nostra mente è paragonabile a un piatto di bilancia: finché continueremo a identificarci con tutti questi giudizi e queste preferenze, con i gradimenti e i rifiuti, con le pretese e le avversioni, la nostra mente sarà costretta a una continua situazione di squilibrio, imprigionata in uno spossante turbine di reattività. È in virtù della presenza mentale, al contrario, che possiamo raggiungere una condizione di equilibrio e di quiete. La presenza mentale è quella specifica qualità dell’attenzione che rileva senza scegliere e senza esprimere preferenze: una consapevolezza che non implica scelta e che, al pari del sole, risplende su tutte le cose allo stesso modo.
Possiamo, dunque, espandere la consapevolezza fino al punto di desiderare che la nostra attenzione copra l’intera sfera della nostra esperienza? È un po’ come affrontare un lungo viaggio in una terra straniera, un viaggio che ci conduca attraverso le più disparate regioni: montagne e selve, deserti e foreste tropicali. Se la nostra mente è quella di un vero esploratore, non ci accadrà mai di pensare, quando siamo nel bel mezzo delle montagne: “Ah, se solo fossi nel deserto”, e parimenti, quando ci troviamo nel deserto, non sogneremo mai a occhi aperti le foreste tropicali. Se è un genuino senso dell’esplorazione ciò che ci nutre, proveremo interesse verso ogni nuovo posto cui ci accadrà di pervenire.
L’esperienza meditativa è un viaggio assai simile a quello: è un viaggio all’interno di noi, che ci conduce per ogni aspetto della nostra esperienza. Ci sono gli alti e i bassi, le vette e le profondità, i momenti del piacere e i momenti del dolore. Nulla, insomma, resta al di fuori della nostra pratica, dal momento che essa consiste proprio nella esplorazione della totalità della nostra essenza. Ciò, evidentemente, implica uno straordinario impegno in termini di volontà. Siamo pronti ad affrontare l’intera sfera della nostra condotta?
Un verso di una canzone di qualche anno fa si riferisce proprio al nostro caso: “C’è chi dice che la vita è strana, ma io vorrei sapere: rispetto a che?”. Tutto ne fa parte. E non c’è nulla che rimanga al di fuori della nostra pratica. Le più varie esperienze di sensazioni fisiche, di piacere o di dolore, le più varie emozioni di gioia o di tristezza, di sconforto o di euforia, di interesse o di noia, fanno tutte parte del viaggio. È possibile, dunque, aprirsi a ognuno di questi stati, acquisire presenza mentale per ognuno di essi in maniera così equilibrata da poter Iniziare a comprendere la loro vera natura?
La pratica meditativa non si risolve mai nel trattenere o nell’evitare: si tratta, piuttosto, di reimmergersi nel momento, di dischiudersi a ciò che è presente. E questo particolare equilibrio della mente, che non conosce preferenze, né attaccamento, che non si avvinghia e non condanna, ma è semplicemente presente di fronte a tutto ciò che avviene, rende possibile una intima connessione con un ritmo più profondo. Ogni attività ha un proprio ritmo specifico: ci sono tutti i vari ritmi della natura, come quello della notte e del giorno, o il cambio delle stagioni; c’è, poi, un ritmo nella musica, nello sport, nella poesia, nella danza. Ogni attività ha un suo ritmo appropriato, e quando noi riusciamo a scoprire quel ritmo, ecco che si manifesta un senso di leggerezza, di tranquillità, di grazia.
C’è ritmo anche nella nostra pratica, un ritmo interiore proprio del respiro, delle sensazioni, dei pensieri, delle emozioni, dei sentimenti, delle immagini, e dei suoni. Quando ci troviamo in una condizione di non reattività, quando ci schiudiamo e ci limitiamo a rilevare ciò che sta accadendo momento per momento, senza trattenere e senza evitare, senza combattere, ecco che allora scopriamo quel ritmo interiore. E quando, finalmente, ne facciamo esperienza, ecco che cominciamo a godere, nell’ambito della nostra pratica, di una tranquillità e di una leggerezza del tutto particolari.
D‘altra patte, per riuscire a scoprire quel ritmo, è necessario uno sforzo considerevole: lo sforzo di prestare un’attenzione continua, di dedicare la mente a ogni momento. Sulle prime, la mente è come dispersa, cosa che ci costringe a compiere uno sforzo per racchiuderla e focalizzarla. Ma dopo un po’ che facciamo così, momento per momento, succederà che, una volta o l’altra, tutto andrà per il verso giusto, e noi, d’improvviso, scopriremo l’equilibrio. È come imparare ad andare in bicicletta: saliamo, e ci mettiamo a pedalare, ma all’inizio cadiamo di continuo da un lato o dall’altro, finché, d’un tratto, si stabilisce l’equilibrio, e allora tutto diventa facile. La meditazione si sviluppa nello stesso modo. Ci vuole uno sforzo considerevole per conservare la presenza mentale in ogni momento e, in tal modo, riuscire a scoprirne il ritmo. ln ogni istante di questa condizione di presenza mentale, qualunque ne sia l’oggetto, che si tratti del respiro, dì sensazioni o di suoni, o ancora di pensieri o di emozioni, in ogni istante di questa condizione consistente nel solo notare e annotare quel che c’è, la mente è libera dalla reattività. Non c’è, allora, né attaccamento né condanna, ma solo un’accogliente consapevolezza di ciò che è presente. Ogni istante di presenza mentale, insomma, aiuta a radicarsi in questo equilibrio e in questo ritmo interiori.
[ Da: Jack Kornfield, Joseph Goldstein, “Il cuore della saggezza. Esercizi di meditazione” ]
– Goldstein Joseph (amazon)
– Joseph Goldstein (macrolibrarsi)
– Jack Kornfield (macrolibrarsi)
– Jack Kornfield (amazon)