Quando parlava di salvezza o emancipazione, il Buddha utilizzava il termine pārayāna, «l’altra sponda», che sta per il regno della non nascita, della non morte e della non sofferenza. Talvolta, non essendo il concetto di «altra sponda» sufficientemente chiaro, il Buddha ricorreva anche al termine tathātā, che vuoi dire «la realtà così com’è». Non possiamo parlarne, non possiamo concepirla. A volte la definiamo nirvāna, ovvero l’estinzione di ogni parola, idea o concetto. Quando il concetto di «altra sponda» viene frainteso, il nirvāna ci viene in soccorso.
Quando pensiamo all’altra sponda, magari la immaginiamo completamente diversa da quella in cui ci troviamo, e ipotizziamo che per raggiungerla si debba abbandonare quest’ultima. Ma la vera dottrina c’insegna che l’altra sponda è questa stessa sponda. In tutte le scuole del buddhismo esiste la dottrina del non venire, del non andare, del non essere, del non non-essere, della non nascita e della non morte. I buddhisti Mahāyāna ci ricordano che tale dottrina è solo il dito che indica la luna, non la luna stessa.
[ Da: Thich Nhat Hanh, “Buddha vivente, Cristo vivente“ ]
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