Le parole del Buddha sulla “retta concentrazione” dal Mahasatipatthana Sutta.
E che cos’è, o monaci, la retta concentrazione? Qui, un monaco, distaccato dai desideri dei sensi, distaccato dagli stati mentali malsani, entra e rimane nel primo jhana (assorbimento meditativo – ndr), in cui vi sono pensiero e riflessione, originato dal distacco, pieno di diletto e gioia.
Con il venir meno del pensiero e della riflessione, incrementando la tranquillità e l’unità interiore del cuore, entra e rimane nel secondo jhana, che è senza pensiero e riflessione, originato dalla concentrazione, pieno di diletto e di gioia. E con lo svanire del diletto, rimanendo imperturbabile, cosciente e vividamente vigile, avverte in sè la gioia di cui i Nobili dicono: «Felice è colui che sta con l’equanimità e la consapevolezza» ed entra nel terzo jhana. E, avendo lasciato andare piacere e dolore e con la scomparsa delle precedenti contentezza e tristezza, entra e rimane nel quarto jhana, che sta oltre il piacere e il dolore ed è caratterizzato da pura equanimità e consapevolezza. Questa è detta Retta Concentrazione. E questa, o monaci, è detto il modo di praticare che conduce alla cessazione della sofferenza.
(Mahasatipatthana Sutta)
Nota del traduttore: Jhana (in sanscrito dhyana, samten in tibetano). In Cina fu traslitterato come chán divenendo poi seon in Corea, thien in Vietnam, e, infine, zen in Giappone.
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