Vi è un testo, nella Letteratura del Ch’an, che è un vero e proprio fondamento per tutti i praticanti: il “Vimalakirti Nirdesa Sutra”. In esso si afferma, tra l’altro, che nel corpo degli esseri viventi, c’è… “Una indistruttibile Natura di Buddha, simile all’astro solare, che è luminosa, piena, vasta e senza confini. Essendo, però, coperta dalle nuvole oscure dei cinque aggregati, non può risplendere, proprio come una lampada dentro una brocca di creta”. Così, come un vaso di coccio nasconde la luce di una lampada che vi viene inserita, allo stesso modo le nuvole e la nebbia, dei pensieri mondani e della nostra composizione psicofisica, oscurano la Mente Originaria che è, appunto, la primordiale Natura di Buddha, in tutti gli esseri.
Per chi giunge, appena adesso, alla conoscenza dei termini del Ch’an, questa ingiunzione rimane un po’ sibillina e arcana, anche se perentoria e dirompente. La Mente-Buddha rappresenta la nostra “ipseità” o “quiddità”, altri termini specifici per indicare la nostra vera essenza, il nucleo vibrante della nostra realtà. Poiché questa vera Natura, non è possibile conoscerla esteriormente, si è dovuto attivare un metodo profondo di indagine che, per mezzo della meditazione introspettiva, portasse gli esseri a prenderne coscienza. Perciò, soltanto con l’accurata pratica meditativa del Ch’an, è possibile conoscere questa intima realtà assoluta che è in noi. Questa essenza profonda dell’Essere, questa “quiddità” o Natura di Buddha che noi siamo in realtà, è intrinsecamente pura; cioè non ha bisogno di essere sostenuta da nulla. Non è perché essa può essere argomentata, o ipotizzata, che essa è.
Essa è, e di conseguenza può venir immaginata e ipotizzata, ma soltanto da chi non la conosce direttamente. Perché, coloro che l’hanno conosciuta e compresa, riconosciuta in loro stessi nel silenzio della coscienza, avendola colta non hanno più bisogno di raffigurarsela. E neanche sentiranno la necessità di descriverla, anche se la Dottrina è costretta a definirla e rappresentarla con termini o con paragoni. Il termine che più le si avvicina è la luce, o luminosità. Sorgente luminosa, vuol dire che questa Natura di Buddha è il potere, l’origine della nostra capacità di conoscere. Poiché conoscenza è sinonimo di luminosità, il paragone è come una lampada accesa nel buio. Oltre a rischiarare tutt’intorno, essa illumina anche se stessa, cosicché può essere vista e conosciuta. Per il fatto che si può vedere, questo indica che è luce, ma anche capacità di conoscere, per questo la luce della Natura di Buddha è proprio la nostra Coscienza luminosa.
Com’è possibile, allora, rendere una persona, oscurata dalla sua ignoranza di sé, idonea a identificare e riconoscere questa sua luce naturale? Con le istruzioni ed i sistemi educativi del mondo, è una cosa impossibile. Questi sistemi persistono nell’istruire le menti umane, soltanto espandendo la luce della coscienza all’esterno di essa. Proprio come la famosa lampada, utilizzata per rischiarare tutt’intorno, ma totalmente indifferente alla sua stessa fonte luminosa. Questa nostra mente umana ha una fonte. E qual è questa fonte? La purezza intrinseca della sua natura, questa è la fonte, la pura Natura di Buddha.
Natura di Buddha è un composto che sta ad indicare la spontanea unione tra “natura” e “Buddha”. “Natura”, in quanto è già così da sempre, non l’ha creata nessuno, non può essere creata artificialmente da nessuno. “Buddha”, perché in Oriente significa “Essere risvegliati alla propria autonatura”. Come possiamo vedere, ogni termine riporta alla pura e assoluta Coscienza primordiale, innata e mai nata, sempre eternamente esistente e che non potrà mai morire, mai finire, mai svanire. E’ un giro di parole per affermare l’essenza dell’unica realtà, cioè la vera natura del nostro reale essere.
Quando noi veniamo qui per meditare ed ascoltare i mirabili insegnamenti del Ch’an, cos’è che facciamo realmente? Apriamo la nostra mente, la mente originaria e intrinsecamente pura, affinché la si possa conoscere individualmente. Tutto il gruppo si fonde e attiva un’unica grande mente, per poterla manifestare collettivamente con la meditazione. In questo modo possiamo riconoscere la nostra mente e accomunarla alla Natura di Buddha, presente in ciascuno di noi, come una unità, un’unica sola mente che vibra all’unisono.
Nel Ch’an si dice: “Aprite l’occhio interno, aprite l’orecchio interno ed ascoltate il maestro interiore”. Nel momento in cui siamo tutti qui riuniti, non c’è più la guida spirituale esterna, non c’è più il mondo frastornante, né tutti i problemi che ci angustiavano. Siamo soli con noi stessi, con la nostra mente, in un unico blocco di coscienza. Non c’è più qualcuno che dice qualcosa a qualcun altro, ma solo coscienza che trasmette coscienza alla coscienza. Di che cosa parla la coscienza? Ma di sé, di se stessa! L’apertura della coscienza a se stessa, vuol dire conoscere tutto ciò che è, come coscienza. L’essere umano respinge ogni illusoria idea di se stesso come individuo, percepisce il valore essenziale della coscienza come essere se stesso. Il flusso del pensiero si ferma e, automaticamente, ci si riconosce mente-coscienza, fondamentalmente pura e senza limiti. Mente che entra ed esce, a piacimento, dai contenitori umani allo e nello spazio libero, oltre la vita e la morte. La vera mente è naturale, non proviene da nessuna parte e non è limitata al passato, presente e futuro.
Il Sutra di Vimalakirti ci ammonisce, ancora, di “preservare la nostra mente da noi stessi”. A ben vedere, questa frase può essere interpretata in modo duplice, ed a me piace proprio intenderla in due modi. Preservare la mente , vuol dire tenerla da conto da soli, cioè dobbiamo pensarci proprio noi stessi. È necessario curarla, osservarla, controllarla personalmente, senza ingerenze o interventi da parte di chicchessia, maestri o psicoterapeuti che siano. Il secondo significato è ancora più sottile: preservare la mente, significa anche salvaguardarla dalla nostra persona, dal nostro Io, perché siamo noi il pericolo più temibile per la nostra mente. Siamo noi in quanto ignoranti di essa e della sua natura, ignoranti in quanto crediamo ai nostri pensieri irreali, noi in quanto ci identifichiamo nella persona chiamata X o Y e aderiamo totalmente alle illusioni di questo mondo. Da tutto questo, dobbiamo preservare la nostra mente, altrimenti la sua luminosità non potrà risplendere totalmente. Essa sarà sempre imprigionata nella brocca di creta.
Perciò, cari amici, cerchiamo di sintonizzarci su questi preziosi suggerimenti e facciamoli nostri. Utilizziamo la mente, facendo la pratica Ch’an, per svelare la mente. Quando siamo sintonizzati, possiamo vedere la nostra mente-realtà, sotto tutti gli aspetti ed in tutte le condizioni. Il sacro ed il profano diventano facce della stessa medaglia, momenti temporali che si alternano vicendevolmente, con un unico punto fermo in tutto ciò: la nostra coscienza osservante. Se attribuiamo alla nostra mente, le variabili caratteriali che ci rendono la vita complicata, allora vuol dire che non stiamo applicando bene la pratica della coscienza impersonale, che osserva nel silenzio. Non possiamo giustificarci, come facciamo spesse volte, dicendo: “Non riesco a concentrarmi, la mente mi porta qua e là!”. In verità, la cosa che ci sballotta qua e là, è l’energia della mente falsa, egoica e non la mente pura e fondamentale. La mente, invece, è solo la funzione di coscienza, che ci informa delle condizioni che stiamo attraversando. In poche parole, la mente della persona artificiale, illusoria, che risponde al nome e cognome individuale, è il nostro Io. La vera mente, la Coscienza fondamentale o Natura di Buddha, è solo quella che ci comunica l’informazione. Perciò dobbiamo, quantomeno, cominciare a discriminare tra il falso ed il vero. E, per poter fare quest’opera di discriminazione, dobbiamo metterci sotto a lavorare con la meditazione della coscienza osservante e non-giudicante.
Anche il rovescio della medaglia è preoccupante, per chi muove i primi passi in direzione dello studio della natura della mente. Altrettanto spesso ci troviamo a dire: “Ah, oggi ero veramente ispirato, ho fatto una buona meditazione!”. La persona gongola, ignara di aver perso la cosa più importante. Sta dichiarando che essa, la PERSONA, ha avuto una esperienza, cioè una buona meditazione. Ma chi è che l’ha fatta, quella meditazione? E chi è che era ispirato? Ma, soprattutto, chi è che la sta informando di questo? Ecco, dove va rivolta l’attenzione e come va fatto il lavoro. È proprio qui il nocciolo del problema. Vedete che c’è sempre qualcosa che parte da noi. Non possiamo continuare a pensare che sia l’ambiente che disturba la nostra mente, o che ci crei particolari stati mentali. È proprio il contrario! Se uno è veramente ispirato, può stare in meditazione anche se cammina per il Corso. Ma se non si conosce la propria mente, se non si sa di cosa si sta parlando, allora potremmo farci anche venti anni nei monasteri Zen di tutto il mondo, oppure risiedere in una grotta di montagna; prima o poi, rispunteranno i demoni della personalità, tornerà lo spettro dell’Io a guastarci la festa. Le orde isteriche, della mente nevrotica ed egoica, non potranno lasciarci mai in pace. Ecco perché dovremmo sintonizzare la nostra mente con l’insegnamento del Ch’an che studia la mente, al fine di poter restare veramente distaccati dal comportamento, ancora per un po’ ribelle e sovversivo, della mente ignorante.
Ovviamente, poiché i tempi sono cambiati e le culture si sono evolute e sovrapposte, il Ch’an dei Patriarchi, come era chiamato in Cina in quell’epoca, è diventato un trattato metapsichico adattissimo per i nostri tempi e per la società presente. È necessario, però, un abile commento da parte di un valido conoscitore, che abbia fatto su se stesso, una chiara esperienza della materia di insegnamento. Non basta perciò che, chi si ritiene interessato, compri le traduzioni odierne degli antichi testi e cerchi di rendersi edotto sperimentalmente, soltanto leggendo le pur affascinanti teorie dello Zen Cinese e Giapponese. Sfortunatamente, è però possibile che, nonostante i miei commenti, o quelli di persone ben più qualificate, possiate trovare delle difficoltà operative ad inserire tutto l’insieme, diciamo gli ingranaggi, nel vostro concreto modo di essere. Per questa ragione, e non mi stancherò mai di ripeterlo, ribadisco che è opportuno sintonizzarvi non tanto sui termini e sui significati simbolici, ma su CIO’ che, IN VOI, recepisce questi significati. Leggendo, o studiando, il Ch’an e le storie dello Zen, dovete focalizzarvi sulla VOSTRA POTENZIALITA’ che sta proprio eseguendo quell’ordine, impartito da QUALCOSA nel vostro intimo, che ha attivato il desiderio, o l’interesse, della lettura o dell’ascolto. Allora, sapete dare, voi stessi da soli, un nome o un significato a CHI muove tutto questo? C’è un qualcosa nel vostro corpo, nel corpo di tutti gli esseri viventi, che è CAPACE spontaneamente di indirizzare i nostri comportamenti e la nostra sete di conoscenza. E qui, ritorniamo alla prima frase del nostro discorso, in cui viene dichiarata la Natura di Buddha come lo spunto autonomo e autoattivo della nostra mente fondamentale.
Un altro importantissimo testo, il Sutra del Diamante, apre un ulteriore interessante aspetto quando afferma che: “Preservare la propria mente è meglio che pregare ed invocare tutti i Buddha ed i Santi del passato!”. Qui c’è un chiaro riferimento alla ferrea opinione, prerogativa esclusiva del Ch’an, che oppone una decisa ripulsa all’adorazione di personalità e varie forme di divinità, nonché alle aspettative di salvezza tramite le raccomandazioni celesti. È un’asserzione precisa, tesa ad eliminare da noi l’idea che il Buddha in persona, o chiunque altri, possa essere una forma sostanziale di appiglio per la nostra mente. D’altra parte, l’espressione “è meglio”, qui è usata in maniera strumentale, semplicemente per incoraggiare le persone e non per stabilire una scala di valori. Per il Ch’an, in realtà non esiste nient’altro che la propria mente e nulla può esservi, di Santo o di Divino, al di fuori di essa. Perciò non può esservi qualcosa di meglio; semplicemente l’invocazione ai Buddha è appannaggio soltanto della mente ignorante e non può, assolutamente, servire ad uscire dai legami della stessa mente inesperta e schiava delle idee e dei concetti.
Pregare e invocare le Divinità, al fine di riceverne conforto e protezione, può servire, al massimo, per ottenere vantaggi e benefici sul piano mondano. La mente delle persone ignoranti vive, o crede di vivere, in un mondo che è prestabilito dal karma ostruttivo, prodotto dalla stessa ignoranza. Perciò è possibile che in questo tipo di realtà apparente, il funzionamento della Legge di Causa e di Effetto possa generare apparenti vantaggi e benefici, ma solo per le persone ancora vincolate all’illusione dell’Io. Coloro che sono arrivati alla conoscenza, mai e poi mai potrebbero affidarsi a immagini illusorie, proiettate da una mente ignara ed inconsapevole. Oltretutto, la vera liberazione della mente passa proprio attraverso l’eliminazione della apparente realtà delle “forme esistenti al di fuori”, che fanno sembrare reali, immagini e proiezioni alle quali si dovrebbero inviare le invocazioni. Il praticante Ch’an non ha nulla da chiedere a nessuno, perché non si aspetta nulla. La sua unica mira è quella di preservare e realizzare la Mente, allo scopo di giungere all’inconcepibile momento, in cui potrà scoprire che la sua mente è la verità assoluta, e che nulla può esistere al di fuori di essa.
Comprendere questo punto focale del Ch’an è indispensabile per poter fronteggiare l’altro nemico della mente: il PRARABDHA KARMA. Questo tipo di karma, qui indicato col suo termine tecnico, è quello maturato in precedenza, quando la mente ignorante credeva fermamente ai prodotti della sua ignoranza. Gli effetti di questa ignoranza precedentemente installata, che tutti gli individui possono constatare nella loro vita presente, lascia profonde tracce anche nella vita attuale di un Realizzato. Sono gli effetti visibili nella vita di tutti i giorni: la fame, la sete, le difficoltà economiche, le malattie, la vecchiaia e, infine, la morte. Questi effetti, insormontabili per la coscienza egoica, disturbano non poco anche i più tenaci meditanti. Il miglior modo di affrontarli, e sconfiggerli, è di considerare irreali anche questi. Ovviamente ci vorrà una fortissima energia mentale ed una totale convinzione ai precetti spirituali della Dottrina. Per la mente corazzata di un adepto Ch’an, tutti gli accadimenti accidentali sopra descritti dovranno essere visti, e vissuti, come in un sogno. Così come nei nostri sogni notturni, la mente colleziona esperienze di cui si sbarazza al sopraggiungere del nuovo mattino, allo stesso modo essa dovrà comportarsi nell’arco della vita quotidiana. D’altra parte, solo la riuscita vincente in questo intento, che minimizza o tralascia quei catastrofici effetti personali, è una convincente prova che l’esame è stato superato. Se i mali della vita e del mondo ci fanno, ancora, veramente tanto soffrire, questa è solo la conferma che siamo, tuttora, in mezzo al guado. Conseguentemente, per arrivare a riva dobbiamo scaricare il più possibile di karma negativo, di cui ci eravamo caricati nelle nostre vite pregresse.
Una risposta convincente a questa problematica sopra accennata, ci viene sempre dal Sutra del Diamante, in cui si afferma: “I Buddha delle dieci direzioni hanno compreso la vera natura delle cose e percepiscono, spontaneamente e senza sforzi, la sorgente di tutti i fenomeni, cioè la Mente! In questo modo, l’immaginazione errabonda non si produce in Essi”. Allora vediamo come la Dottrina ci cautela, con dichiarazioni incontrovertibili, nei confronti della presunta realtà delle angosce e delle sofferenze esistenziali. La Dottrina del Ch’an ha uno scopo lampante e incontestabile: portare tutti gli esseri alla Buddhità, alla realizzazione della Natura di Buddha. Per far questo si serve di argomentazioni e ingiunzioni che, oltre ad essere decise ed inoppugnabili, debbono essere perfettamente e totalmente rispettate ed eseguite. In caso contrario l’effetto salvifico sarà nullo, come in una cura farmacologica che, per avere effetto, deve essere eseguita a puntino, altrimenti non potranno assolutamente esservi effetti positivi e di guarigione. La premessa, per ottenere gli effetti positivi descritti dalla Dottrina Ch’an, è che le persone trasformino e stravolgano il loro modo di ragionare, approdando all’apertura ed all’espansione della Mente Ch’an. Ove questo non accada, allora tutto ciò di cui stiamo parlando, resta soltanto una mera favoletta per menti infantili, un ipotetico prospetto filosofico senza nessuna possibilità di pratica e di attuazione.
“L’immaginazione errabonda” sta a significare tutto ciò che nasce nella nostra mente, quando noi non possiamo intervenire, dato che siamo ignoranti del meccanismo. Quindi, tutti gli effetti negativi del pensiero, i preconcetti, le opinioni prestabilite, le paure ed i timori inveterati che, da soli, sorgono nella mente incontrollata. Ci siamo mai resi conto che, per quanto cerchiamo di opporci a questi pensieri errabondi, essi sorgono ineluttabilmente contro la nostra volontà? Se essi sorgono, e noi non possiamo farci nulla ma siamo solo costretti a subirli, vuol dire inevitabilmente che non abbiamo compreso la natura delle cose. Siamo totalmente all’oscuro del meccanismo mentale che fa sorgere e ingrandire queste immaginazioni, e tutti i loro effetti perniciosi. Possiamo leggere tante belle cose, illuderci di essere praticanti di questa o quella disciplina, discepoli di questo o quel Guru, ma quando sorgono le illusioni, con la loro forza, noi siamo inermi. Niente e Nessuno possono aiutarci. Ecco perché, rifacendoci alla frase del Sutra, dobbiamo aprire senza indugi, la nostra mente alla Natura di Buddha. Dobbiamo smettere di identificarci nella nostra misera mente umana e rifugiarci soltanto nella Mente-Buddha: solo con questa operazione, voluta, inseguita ed ottenuta con l’autocoscienza, si avrà il potere di ostacolare e non farsi aggredire dai pensieri negativi. Quando saremo convinti che tutte le cose sono virtuali, perché sorgono dalla mente che noi possiamo governare, allora queste cose non potranno più danneggiarci. Non ci sarà più una PERSONA che si sente danneggiata dai suoi sogni karmici. La mente, essendosi risvegliata alla sua reale Natura di Buddha, spazzerà via l’idea di realtà dei fenomeni negativi e dannosi, dedicando il tempo rimanente della sua esperienza umana, a contemplarsi, instaurando uno stato meditativo continuato e ininterrotto.
Durante lo stato meditativo di contemplazione profonda, nella nostra mente c’è solo pace. In quel momento di pace non si genera nessun tipo di pensieri. Anche eventuali disturbi contingenti, quali i doloretti fisici, ad un certo punto cessano di farsi sentire. La mente li ha abbandonati. La mente della meditazione, prima o dopo, abbandona tutto, perfino se stessa. Ecco, questa mente, che abbandona tutto perfino se stessa, è la Mente-Buddha, la Natura di Buddha della mente, il potenziale misterioso ed originario dell’esistenza, la natura incondizionata di tutte le cose. Questo è ciò che il praticante zelante dovrebbe sperimentare, mentre esegue la meditazione: la Conoscenza della Vacuità, proprio come se fosse il suo stesso essere. Purtroppo la stragrande maggioranza di coloro che praticano la meditazione, o almeno qualcosa che le assomiglia, sono ancora troppo presi dall’ingerenza violenta e invadente del loro Io personale. E perciò sono, inevitabilmente, sottoposti al dramma della mente illusa e ingovernabile. Essi si soffermano volontariamente su tutta una gamma di valutazioni, opinioni personali, presunzioni e quant’altro, sfuggendo e glissando fatalmente la vera direzione da prendere e mantenere: la concentrazione impersonale sulla loro mente.
Il vero problema, per i principianti e gli aspiranti, è il karma ostruttivo della mente, poiché essi sono ignari e, spesse volte soprattutto increduli, di questa specie di “peccato originale”. Ritenendosi persone istruite ed intelligenti, ma ignorando completamente l’origine delle loro presunte qualità, persistono nell’utilizzare “oggettivamente” il potere della mente. Così non si sforzano nella vera ricerca, che ha più valore di ogni altra cosa: il riconoscimento della natura della mente, la loro segreta Natura di Buddha. Il praticante sincero deve, prima di tutto, comprendere lo scopo della meditazione indi sapere che cosa focalizzare. La vera meditazione comincia con l’indagare, il come ed il perché, del sorgere dei pensieri nella mente. E questo richiede già un certo prolungato periodo di tempo. Dopodiché si deve passare a meditare sullo spazio vuoto che si interpone tra una fase pensante e la successiva, cercando di cogliere direttamente la base silenziosa e immobile che forma il sostrato del nostro essere, Arrivati a questo punto, potremo cominciare a cogliere i primi frutti. La concentrazione metodica della mente favorirà la consapevolezza che, a sua volta, permetterà di prendere le distanze dalle forze scatenate dai pensieri stessi.
A sua volta il “karma ostruttivo”, generato proprio dalla mente ignorante e dalla sua incapacità a conoscersi ed a restare stabile in se stessa, comincerà a dissiparsi ampliando le potenzialità mentali sulla visione diretta della nostra reale natura. L’atteggiamento esclusivamente egoistico e possessivo s’indebolirà per lasciar posto ad una visione unitaria e onnipervasiva; così che nella nostra mente vada pian piano scomparendo la concezione di malattia, invecchiamento e morte. Non avendo più le perverse concettualizzazioni sulla nostra scomparsa da questo mondo, saremo liberi e conclusivamente in pace. A quel punto saremo perfettamente fusi con l’eterno Assoluto e godremo naturalmente di ogni felicità, essendoci impiantati stabilmente nella serenità Nirvanica. E saremo definitivamente esonerati dall’obbligo di rinascere come persone ignoranti soggette all’eterno peregrinare nel mondo samsarico, per ricominciare a soffrire le pene dell’esistenza, miliardi e miliardi di volte.
Allorché la nostra mente vedrà tutte le cose, non più con l’attrazione del desiderio, non più con la repulsione dell’odio o del rifiuto, ma con un’unica qualità neutra ed equidistante, la consapevolezza ne prenderà atto e ci farà proseguire. Sarà questa consapevolezza che ci allontanerà dal dramma della nascita e morte, che non è soltanto la nascita e morte dell’individuo, ma la nascita e morte di tutte le cose che sorgono nella mente. Per esempio, ieri la nostra mente non pensava a quel certo problema preoccupante, mentre oggi ci pensa: questa è la nascita. Oppure, la mente ha paura che domani non avrà più quella cosa piacevole cui tiene tanto: questa è la morte. Questo è il vero e persistente problema della nascita e morte, nella nostra mente. Quindi, quando essa sarà in pace, non avrà più il pensiero della nascita e morte, in generale.
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