Siccome lo zen non implica un dualismo ultimo fra il controllore e il controllato, fra la mente e il corpo, lo spirituale e il materiale, esiste sempre nelle sue tecniche un aspetto “fisiologico”. Sia esso praticato mediante lo za-zen, il cha-no-yu o il kendo, si attribuisce sempre grande importanza al modo di respirare.
Il respiro non solo è uno dei due ritmi fondamentali del corpo; è anche il processo nel quale controllo e spontaneità, azione volontaria e azione involontaria trovano la loro identità più palese. Molto tempo prima delle origini della scuola zen, sia lo yoga indiano sia il taoismo cinese praticavano “la sorveglianza del respiro”, col proposito non di forzarlo, ma di lasciarlo diventare lento e silenzioso nei limiti del possibile. Fisiologicamente e psicologicamente il rapporto fra respiro e “intuizione” non è ancora del tutto chiaro. Ma se noi consideriamo l’uomo come processo piuttosto che come entità, come ritmo piuttosto che struttura, è ovvio che respirare è qualcosa che l’uomo fa – e, in tal modo, è – costantemente. Perciò afferrare l’aria con i polmoni procede di pari passo con l’afferrarsi alla vita.
(Da: Alan Watts, La via dello zen)
Nota: zazen è la parola che nello zen indica la meditazione seduta; cha no you è la cerimonia del tè, un’altra tipica pratica zen; mentre il kendo, o “cammino della spada”, è un’arte marziale giapponese che si è sviluppata sotto l’influenza dello zen.
– Alan W. Watts (macrolibrarsi)
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– https://it.wikipedia.org/wiki/Alan_Watts