Riporto una breve parabola buddista “La storia del giovane vedovo” che mi sembra piuttosto emblematica. Se ci attacchiamo a un’idea e la riteniamo la verità assoluta, pensando di possedere gia’ la verità, non potremo aprire la mente e non riusciremo a meditare.
«Voglio narrarti la storia del giovane vedovo che aveva un figlio di cinque anni. Lo amava piu’ della sua stessa vita. Un giorno dovette lasciarlo a casa e uscire per affari. Arrivarono i banditi che saccheggiarono il villaggio, lo diedero alle fiamme e rapirono il bambino. Ritornato, l’uomo trovo’ la casa bruciata e, li’ accanto, il cadavere carbonizzato di un bambino. Credette che fosse il figlio. Pianse di dolore e cremo’ cio’ che restava del corpo. Amava tanto il figlio che ne raccolse le ceneri in una borsa che portava sempre con se’. Mesi dopo, il figlio riusci’ a scappare e ritorno’ al villaggio. Era notte fonda quando busso’ alla porta. Il padre stringeva tra le braccia la borsa con le ceneri e singhiozzava. Non apri’ la porta, benche’ il bambino dicesse di essere suo figlio. Era convinto che il figlio fosse morto e che alla porta battesse un bambino del villaggio che voleva prendersi gioco del suo dolore. Il bambino fu costretto ad andarsene, e padre e figlio si perdettero per sempre.»
«Ora vedi, amico mio, come, se ci attacchiamo a un’idea e la riteniamo la verita’ assoluta, potremmo trovarci un giorno nella situazione del giovane vedovo. Pensando di possedere gia’ la verità, non potremo aprire la mente per accoglierla, anche se la verità bussasse alla nostra porta.».
(Dighanakha sutta, Majjimanikaya, 74)
E se non apri la mente non riuscirai mai a rinunciare ai pensieri. Continuerai a identificarti, seppur inconsciamente, con qualunque idea ti piova addosso credendo, soprattutto, che sia tua. Per questo motivo, libertà e meditazione sono così affini.