Mentre Bodhidharma fissava un muro in stato di meditazione, Hui-ko, il monaco che sarebbe divenuto il secondo Patriarca dello Zen, gli si avvicinò per chiedergli un insegnamento. Insistette più volte, ma Bodhidharma rifiutò di dargli alcuna istruzione. Tuttavia Hui-ko non si diede per vinto e rimase lì, seduto in meditazione tra la neve, fuori della grotta dove Bodhidharma stava fissando il suo muro, nella speranza che il maestro cambiasse idea. Alla fine, come gesto di disperazione e di estrema supplica, si tagliò il braccio sinistro e lo presentò a Bodhidharma. Allora, finalmente, Bodhidharma gli diede udienza, Hui-ko poté parlare e disse: “La mia mente non è in pace. Ti prego: acquietala”. Bodhidharma rispose: “Fammi vedere la tua mente inquieta e io te la pacificherò”. “Ma – obiettò Hui-ko – quando cerco la mia mente, non riesco ad afferrarla”. “Ora – urlò Bodhidharma – la tua mente è in pace”. Hui-ko ebbe un’importante realizzazione.
In un altro insegnamento dato sempre da Bodhidharma al suo successore, egli dice: “Lascia andare tutti i pensieri discorsivi e tutti gli attaccamenti. Fa riposare la tua mente”.
La mente è inquieta. Ma lo scherzo diabolico che ci fa continuamente è l’inquietudine provocata dal fatto che essa stessa è inquieta: è il problema di Hui-ko. Dice: ho la mente inquieta. Ma dirlo vuol dire perpetuare quella situazione. Preoccuparsi dell’inquietudine: è l’inquietudine al quadrato! Come abbiamo già detto, la risposta zen ben poche volte è alla domanda posta. Che senso avrebbe avuto se Bodhidharma avesse detto: calmala? E infatti Bodhidharma conduce Hui-ko in se stesso, verso quel vuoto che pure abita in lui, senza che ne sia consapevole. Quella mente di cui ti lamenti, cos’è? Dov’è? È come nella vipassana: osservo il mio stato di rabbia, ed ecco che si scioglie impercettibilmente, dolcemente.
Eppure c’era, sì: c’era qualcosa, ne sono sicuro. Ma ora?
La ricerca della pacificazione della mente è un ulteriore atteggiamento dualistico. È per questo che è importante meditare senza perché: altrimenti saremmo sempre degli schiavi, degli accattoni. Ma anche la ricerca stessa della mente fa ricadere in un’analoga situazione: Hui-ko si era dato a disquisizioni interiori di tipo filosofico sulla sua mente. Com’è la mia mente? Di che natura è? È calma? Si era creato il suo concetto, si era costruito la sua prigione, il suo trabocchetto. Appena dici: ho una mente; e poi la guardi e la vedi inquieta, è ovvio: il problema sorge, ma sei solo tu la sua causa.
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