I Tibetani che – mille anni fa – viaggiavano a piedi fino a raggiungere le grotte e le foreste dell’India, per trovare e ricevere gli insegnamenti buddhisti, scoprirono che molte donne erano di fatto grandi maestre tantriche; chiamate yogini, praticavano le discipline esoteriche seguite da un gran numero di discepole. Dal carattere fiero, indipendente e rigoroso, le yogini trasmettevano i loro segreti spirituali agli uomini che desideravano essere iniziati, dando un grande impulso allo sviluppo del Buddhismo tantrico. A un certo punto, queste donne straordinarie scomparvero di vista.
Ma non scomparvero dalla mente dei praticanti. La loro corrispondente forma “beatificata” danza nel cuore dei mandala di tutto il pantheon tibetano.
“Nel campo spirituale, l’energia femminile ha le stesse capacità e possibilità di quella maschile“, afferma Kyabje Gehlek Rinpoche, Lama tibetano e insegnante buddhista (“Rinpoche” significa “il prezioso”) inviato in Occidente dai tutori del Dalai Lama. Gehlek Rinpoche, noto nei circuiti spirituali per la sua vicinanza al poeta Allen Ginsberg (e per averlo assistito spiritualmente al momento della sua morte), è il fondatore dei Centri di Buddhismo tibetano di Ann Arbor (Michigan) e Soho.
Una mattina di alcuni giorni fa (7 Agosto 2005) Gehlek Rinpoche era seduto di fronte alla divinità Tara, raffigurata in un dipinto del diciottesimo secolo contenuto in “Buddha femminili: donne di illuminazione nell’arte mistica tibetana”, mostra in corso di svolgimento al Rubin Museum of Arts di Chelsea. “Ciò di cui c’è più bisogno in questa epoca è una presenza femminile“, ha detto il Lama.
Gehlek Rinpoche ha spiegato che Tara ha fatto voto di manifestarsi nel mondo in forma femminile.
Tutti i Bodhisattva le avrebbero detto: “Tara, tu ora potresti essere tutto ciò che desideri, potresti essere un uomo”. Tara avrebbe risposto: “Vi ringrazio, ma la mia risposta è no”. “Tara ha scelto un corpo femminile per illuminare la via di tutti gli esseri”, ha detto Rinpoche; “La sua immagine ci aiuta ad essere consapevoli del Buddha che esiste dentro ciascuno di noi; ci aiuta a ricordarci che non siamo soltanto esseri fisici, materiali“.
Nella pratica degli insegnamenti tantrici segreti, secondo l’attuale Dalai Lama, le donne sono addirittura avvantaggiate; gli uomini invece tendono a mettersi in evidenza nelle forme più “comuni” (non esoteriche) del Buddhismo tibetano. Il Primo Dalai Lama (1391-1475) compose un canto mistico di ventuno lodi a Tara, che si dice sia sorta dall’oceano di lacrime della divinità principale tibetana: Avalokiteshvara, il Bodhisattva della Compassione.
Tara, il cui nome significa “Stella” (forse con riferimento alla Stella Polare, la cui luminosità ha il potere di guidare coloro che si sono smarriti) è l’energia dell’illuminazione personificata. Tara è al tempo stesso una madre appassionata, una protettrice irata, una soggiogatrice di ostacoli veloce e senza paura. Con occhi dardeggianti come fulmini, batte i piedi e semina il panico fra dei e demoni allo stesso modo, riparando i torti e le ingiustizie e adempiendo alla sua promessa di donare al mondo le divine energie femminili.
La sua intensa femminilità è tutto fuorché docile o sottomessa, come appare con lampante evidenza nella mostra del Rubin Museum e in un’altra mostra collegata (avente lo stesso nome) presso il Bruce Museum di Greenwich, Conn. Tara e il suo seguito di yogini bevono il sangue degli avversari del Dharma, danzano nude sui corpi dei nemici sconfitti e si abbracciano a consorti maschili in un’appassionata unione sessuale. Sono liberatrici trascendenti, che si ergono a difesa della “Natura illuminata” presente in ciascuno di noi, quando ci rivolgiamo verso la nostra saggezza interiore.
(articolo di Kay Larson – pubblicato sul New York Times del 7 Agosto 2005)
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