Un asceta, nella solitudine del suo rifugio sulla montagna, giurò a Dio che avrebbe digiunato per quaranta giorni.
I primi giorni riuscì a superarli senza grandissima fatica.
Ma già al decimo giorno il cane della fame gli si rivoltò contro divorandogli lo stomaco.
Giunto al pomeriggio del ventunesimo giorno l’asceta venne sopraffatto dai tormenti procuratigli dalla fame e, come in stato ipnotico, uscì dal suo rifugio ritrovandosi nella piazza del mercato in cerca di cibo.
Tra la tanta gente che popolava il mercato, l’asceta incontrò un Sufi che sbraitava: «In nome di Dio, qualcuno mi offra una calda focaccia, una metà di pollo arrosto e un dolce speziato!».
L’asceta si sentì alquanto indispettito da quella presenza: «Ma guarda che impudente! E senti che pretese avanza! Quali ghiottonerie richiede! Mi è addirittura passato vicino senza degnarmi neanche di uno sguardo! Che essere sgradevole, non si è neanche accorto dello stato di digiuno nel quale mi trovo! E pensare che mi accontenterei anche di un pezzo di pagnotta rancida!».
Non passò troppo tempo che il Sufi ricevette quanto aveva richiesto.
Con quel ben di Dio si avvicinò all’asceta e, affinché nessun altro potesse sentire, gli sussurrò: «Prendi questo cibo. È per te! Sfamati finalmente. Ma ricorda che si può giungere al digiuno di quaranta giorni solo gradualmente e quando si è veramente pronti. Altrimenti, tentativi azzardati non faranno rispettare il giuramento a Dio, ma faranno uscire di senno inducendo a giudizi avventati!».
(Da: “Il dito e la luna”, Gianluca Magi)
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