Un maestro sufi, a causa della sua celebrità in tutto il paese, si venne a trovare nella situazione per cui con l’andare del tempo i suoi allievi lo ossequiavano e lo ammiravano a discapito di ciò che insegnava.
Decise quindi di porre fine a quello schema di condizionamento noto come “culto della personalità”.
Così, un bel giorno, mentre si trovava attorniato da una folla di suoi estimatori convinti che la devozione fosse strettamente connessa all’apparenza, fece pubblicamente recapitare il seguente messaggio a una ben nota prostituta: «Rimango ancora in attesa dei miei abiti che l’altra notte ho dimenticato a casa tua. Attendo inoltre la presentazione del conto per le tue prestazioni».
Non appena udirono quelle parole, i suoi estimatori cambiarono immediatamente opinione del maestro, smisero di riverirlo e se ne andarono via indignati.
Il maestro sufi allora osservò soddisfatto a un suo allievo: «Vedi, non appena ho fatto qualcosa di contrario alle loro attese, il loro ossequio e la loro ammirazione verso di me si sono dileguati. Questo è un meraviglioso esempio di quell’inveterata inclinazione umana a ridurre una dottrina a una semplice pratica imitativa e convenzionale».
(Da: “I racconti dei dervisci”, Idries Shah)
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