“Nei momenti di grande gioia di regola non ci fermiamo a pensare: «Sono felice», oppure: «Questa è gioia». […] In quei momenti siamo talmente consapevoli dell’istante da non fare alcun tentativo di confrontare l’esperienza di esso con altre esperienze. Perciò non gli diamo alcun nome, perché i nomi […] si basano su paragoni. […]
Vi sono allora due modi di capire un’esperienza. Il primo è confrontarla con i ricordi di altre esperienze, e così darle un nome e definirla. Ciò significa interpretarla in conformità a ciò che è morto e al passato. Il secondo è prenderne coscienza così com’è, come quando nell’intensità della gioia, dimentichiamo il passato e il futuro, e lasciamo che il presente sia tutto, e così non ci fermiamo neppure a pensare: «Sono felice». […]
La persona spaventata o che si sente sola comincia subito a pensare: «Sono spaventato», oppure: «Mi sento tanto solo».
Naturalmente questo è un tentativo di evitare l’esperienza. Non vogliamo prendere coscienza di questo presente. […]
È chiaro che cerchiamo di conoscere, denominare e definire la paura al fine di renderla ‘oggettiva’, ossia separata dall’ ‘Io’. Ma perché cerchiamo di separarci dalla paura? Perché abbiamo paura. […]
Se invece prendiamo coscienza della paura, ci rendiamo conto che, siccome questo sentimento siamo noi stessi, non c’è via di scampo. […] A questo punto riceviamo l’esperienza senza resistervi o denominarla, e scompare interamente il senso del conflitto fra l’ ‘Io’ e la realtà presente. […]
Non richiede sforzo; la psiche lo fa da sé. Vedendo che non può sfuggire al dolore, la psiche cede a esso, lo assorbe e diviene cosciente del dolore puro e semplice, senza un ‘Io’ che lo senta o vi resista. Sperimenta il dolore nello stesso modo completo, senza autocoscienza, con cui sperimenta il piacere. Il dolore è la natura di questo momento presente e solo in questo momento io posso vivere. […]
La mancanza di una qualsiasi resistenza porta a un modo di avvertire il dolore così inconsueto da essere difficilmente descrivibile. Il dolore cessa d’essere problematico. […] Voler sfuggire al dolore è il dolore; non è la reazione di un ‘Io’ distinto dal dolore. Quando si scopre questo, il desiderio di sottrarvisi si ‘fonde’ col dolore stesso e svanisce. […]
Questo però non è un esperimento da tenere in riserva, come uno stratagemma, per i momenti di crisi. È un modo di vivere. […]
Qui si tratta di capire qualcosa che è – il momento presente. Questa non è una disciplina psicologica o spirituale per il miglioramento di sé. È semplicemente il prendere coscienza dell’esperienza presente, il rendersi conto che non si possiamo né definirla né separarcene. Non c’è altra regola che il ‘Guarda!’. […]
Qui la vita è attiva, vibrante, vivida e presente, con profondità […]. Ma per vedere e capire appieno questo la mente non dev’essere divisa in ‘Io’ e ‘questa esperienza’. L’istante dev’essere ciò che è sempre: tutto ciò che sei e che sai. In questa casa non c’è posto per te e me!”.
(Da: “La saggezza del dubbio”, Alan W. Watts)
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