Al principio […] la volontà vuole conoscere se stessa; allora si desta la coscienza riflessa e col destarsi di essa la volontà si divide. […] Il conflitto è inevitabile […]. Alla conoscenza si unisce fatalmente l’ignoranza […].
L’ignoranza prevale finché la volontà si lascia ingannare dalle sue stesse creazioni o dalla sua immagine, dalla coscienza riflessa nella quale chi conosce resta sempre distinto dal conosciuto. […]
L’ignoranza presuppone sempre qualcosa di esterno e di sconosciuto. Questo principio esterno e sconosciuto generalmente viene chiamato Io o anima, mentre in realtà è la stessa volontà nello stato di ignoranza. È per questo che il Buddha nel punto in cui sperimentò l’illuminazione realizzò anche che un ātmān, una anima sostanziale come entità sconosciuta e inconoscibile, non esiste. […] L’ignoranza significa l’Io […].
Non ci si sbarazza dell’ignoranza con mezzi metafisici, bensì mediante la lotta condotta dalla volontà. Quando ciò si compie, siamo liberati anche dalla nozione di una entità-ego che è il prodotto o meglio la base dell’ignoranza, dalla quale dipende e sulla quale prospera. L’ego è l’angolo tenebroso in cui i raggi dell’intelletto non riescono a penetrare, è l’ultimo nascondiglio dell’ignoranza, che così si ripara tranquillamente dalla luce. […]
In effetti, l’ignoranza e l’idea di ego sono la stessa cosa. Noi tendiamo a pensare che quando l’ignoranza viene scacciata e l’ego perde il suo potere su di noi, non abbiamo più nulla cui appoggiarci […]. Ma non è così: perché l’illuminazione non è un’idea negativa, che significhi semplicemente l’assenza dell’ignoranza. Ignoranza è la negazione di illuminazione, non il contrario. […] Quando l’ignoranza dominava suprema, l’ego era concepito come un’idea positiva, e la sua negazione era nichilista. Era perfettamente naturale che l’ignoranza sostenesse l’ego, dove aveva trovato la sua sede originale. Ma con la realizzazione […] l’ordine istituito dall’ignoranza viene sovvertito radicalmente.
Causa dell’ignoranza è la volontà di conoscenza: la volontà vuole conoscere e così si cade nel dualismo. Conoscente, conoscenza e il suo oggetto si separano. La volontà crea l’oggetto che diverrà la causa dell’ostruzione della mente, ostacolo alla sua libertà, anzi: la volontà è l’ostruzione stessa.
Il “voglio conoscermi” è già prodotto dell’ignoranza, che è causa del sorgere di quell’io che si mette in questione, che si tematizza, che si cerca, …
Sentirsi a proprio agio nell’ignoranza: questa è la tutela dell’io. L’io è rassicurante, è una certezza. Attraverso il reticolato degli io sono, io voglio, io desidero, io mi compiaccio, io preferisco, io ho piacere, … si vive immersi in quest’invisibile ignoranza. Una costruzione fatta di fantasmi, di illusione: un abbaglio, un’autoallucinazione. Mattoni su mattoni che celano quella spaziosità silente, vuota, libera, intessuta di puro abbandono, di cedevolezza, di disteso rilassamento, di equanimità. Ci si svuota dell’unica cosa che conosciamo, cui ci aggrappiamo (l’io): è un salto che non ti dice in che direzione andrai. La classica reazione è di sbigottimento, è di timore. Del resto non ci sarà direzione, ma solo… vuoto. È lo stato di libertà. Se hai paura, evidentemente è l’io a produrre questa condizione; se si vive all’insegna del timore, del controllo, dell’angoscia, dell’inquietudine, della preoccupazione, del sospetto, evidentemente è l’io a generare questi inquinanti. Se si guarda dunque al vuoto attraverso la lente dell’io, è del tutto ovvia la reazione. Ma dal vuoto cosa si vede? Assenza di turbamenti, quiete, semplicità, risoluzione, rasserenamento.
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