Il pensiero non ha la minima possibilità di coltivare la compassione. Con la parola compassione io non intendo qualcosa che sia l’opposto, l’antitesi dell’odio, della violenza. Se in noi non c’è una compassione profonda, diventeremo sempre più spietati e disumani nelle nostre relazioni reciproche. Avremo delle menti meccaniche che funzionano come computer, addestrate a compiere determinate funzioni; continueremo a cercare la sicurezza, sia fisica che psicologica, e perderemo contatto col senso della vita, con la sua straordinaria profondità e bellezza.
Quando parlo di compassione, non intendo qualcosa che si possa acquisire. La compassione non è una parola, non è qualcosa che appartiene al passato, ma è qualcosa che agisce nel presente; è il verbo e non la parola, il nome, il sostantivo. C’è differenza tra il verbo e la parola. Il verbo è azione nel presente, mentre la parola proviene sempre dal passato e quindi è qualcosa di statico. Potete conferire del movimento, della vitalità a una parola, a un nome, ma il verbo è un’altra cosa. Il verbo è il presente…
La compassione non è un sentimento, non è vaga simpatia o compartecipazione. Non è qualcosa che il pensiero possa coltivare; non potete imporle una disciplina, un controllo; non potete reprimerla, né per accostarvi ad essa vi basta la gentilezza, l’educazione, la dolcezza e così via. La compassione affiora solo quando il pensiero (caotico – ndr) è stato definitivamente sradicato.
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– it.wikipedia.org/wiki/Jiddu_Krishnamurti
– jkrishnamurti.org
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