Nel cuore profondo di una giungla indiana viveva un santo maestro con i suoi discepoli.
Lontani dal seducente richiamo dei desideri e dalle tentazioni dei sensi, questi innocenti dèi umani conducevano una vita pura e naturale, libera dai travagli delle innumerevoli speranze deluse.
Maestro e discepoli si svegliavano all’alba, spargevano le loro preghiere nel Grembo Divino con i raggi del sole, si nutrivano di frutti e radici e dormivano in grotte scavate dalla natura alle pendici delle colline boscose.
Il discepolo Rama aveva rinunciato consapevolmente alle comodità della dimora paterna ed era entrato nell’eremitaggio per vivere con semplicità.
Con il tempo, però, Rama cominciò a mostrare anche nelle questioni metafisiche il suo abituale spirito meticoloso e ipercritico, e iniziò a trovar da ridire sui semplici compiti e doveri dell’eremitaggio.
Il maestro lo aveva messo in guardia dagli atteggiamenti estremi, tuttavia un giorno Rama gli disse: «Venerabile signore, sento di aver lasciato una famiglia solo per essere entrato a far parte di una famiglia più grande.
A casa avevo dei doveri da assolvere, ma qui devo fare lo stesso. Lì, mangiavamo, ci occupavamo del cibo e della pulizia, ci volevamo bene, sognavamo e dormivamo insieme, e ora qui facciamo le stesse cose.
Maestro, non ne posso più dei doveri materiali del vostro eremitaggio, che non fanno altro che sostituire i doveri terreni di cui mi occupavo a casa. Voglio lasciare tutto ciò che è materiale e vivere in solitudine nel tempio della contemplazione».
Il maestro lo ammonì: «Figlio mio, puoi andare, ma stai attento a non cadere nella rete dell’illusione vivendo circondato dai tuoi pensieri sbagliati. Puoi fuggire dalle folle di persone buone, che sono migliori delle folle di persone mondane, ma sarebbe assai difficile per te sfuggire alla malsana ressa dei tuoi pensieri irrequieti, che potrebbero portarti fuori strada».
Rama non prestò attenzione alle suppliche dei suoi compagni e al consiglio del maestro e si avviò alla ricerca di un luogo solitario. Per essere libero da ogni impedimento, lasciò all’eremitaggio i suoi pochi averi e portò con sé solo due pezzi di stoffa con cui cingersi i fianchi e una ciotola per l’acqua e le elemosine. Alla fine della giornata trovò un luogo tranquillo sulla cima di una collina, poco distante dalla giungla e dal villaggio. Per ripararsi, scelse un pianoro roccioso all’ombra di un grande albero frondoso.
La prima notte trascorse pacificamente, benché il suo sonno fosse cullato dall’ululato degli sciacalli e dal ruggito delle tigri della giungla. Con il sorgere del sole, però, Rama constatò con sgomento che un topolino aveva rosicchiato il suo secondo pezzo di stoffa, appeso a un ramo dell’albero sopra il bivacco. La sua ciotola, inoltre, era stata rubata da un ladro silenzioso: una scimmia notturna.
Rama pensò: «Padre Celeste, ho lasciato ogni cosa per Te e adesso Tu hai preso la mia ciotola e hai mandato un topo a rovinare l’ultima cosa che possiedo, il mio pezzo di stoffa!».
Proprio in quell’istante, un abitante del villaggio che stava camminando nei pressi dello sperone di roccia si fermò per porgergli i suoi rispetti. Vedendolo preoccupato, gli chiese: «Venerabile santo, vi prego, ditemi che cosa vi affligge». Nell’udire la storia del pezzo di stoffa rosicchiato, gli consigliò: «Perché non prendete un gatto per tenere alla larga il topo?».
«È un’idea fantastica!» rispose Rama. «Ma dove posso trovare un gatto?».
«Non è un problema, ve ne porterò uno domani» gli disse l’uomo.
Il giorno seguente, il solitario Rama aggiunse ai suoi averi un gatto persiano dal lungo pelo. Così il problema del pezzo di stoffa fu risolto, perché il topo non voleva certo rischiare di incontrare il Dio Felino della Morte solo per un pezzetto di stoffa incartapecorito! Con una nuova ciotola per le elemosine, Rama si recava ogni giorno al villaggio per prendere un po’ di latte per il suo gatto.
Per un anno intero gli abitanti condivisero gratuitamente, senza protestare, il loro latte con Rama, finché un giorno l’anziano del villaggio gli disse: «Santo Rama, siamo stanchi di darti il latte».
«Ma come farà il mio gatto a sopravvivere?» chiese Rama.
«Perché non tieni con te una mucca?» gli consigliò il capo del villaggio. «Se vuoi, te ne darò una immediatamente».
Rama, fuori di sé dalla gioia, fece ritorno alla sua dimora tra le rocce con una mucca. Ora Rama, il gatto e la mucca formavano una bella famigliola e si rallegravano a vicenda nel muto linguaggio dell’affetto.
La mucca, tuttavia, conosciuta come “la mucca del santo”, pascolava liberamente nei campi di riso degli abitanti del villaggio, causando gravi danni.
Trascorse un altro anno e le storie delle razzie nei campi di riso da parte della “mucca del santo”, sempre perdonata e tollerata, crebbero a dismisura. Alla fine, gli abitanti del villaggio si recarono in gruppo da Rama, lamentandosi dei saccheggi della sua audace mucca.
«Ma come farò a nutrirla?» chiese Rama.
«Beh, non hai della terra? Ti daremo noi un appezzamento di dieci ettari» risposero in coro gli abitanti.
Rama ne fu entusiasta. Chiamò a raccolta i bambini del villaggio e, infervorandoli di divino entusiasmo, li convinse a costruire un eremitaggio, ad arare la terra, a nutrire il suo gatto e la sua mucca… in breve, a svolgere gratuitamente tutto il duro lavoro richiesto dalla sua fattoria!
Gli abitanti tollerarono in silenzio tutti questi santi privilegi per ben due anni, finché scoprirono di non poter più convincere i figli a svolgere gli stessi doveri nella propria casa.
Allora si recarono in gruppo da Rama e gli dissero: «Vostra santità, non possiamo più permettere che i nostri figli vengano a lavorare per voi, perché nel frattempo le nostre fattorie vengono trascurate».
«Ma come farò a mandare avanti la mia fattoria senza l’aiuto dei vostri figli?» chiese Rama.
«Perché non vi trovate una compagna e non mettete al mondo dei figli vostri? Non c’è uno solo di noi che non sarebbe felice di darvi in sposa una delle proprie figlie in età da marito. Sarebbe un onore, perché sareste un meraviglioso marito spirituale» esclamarono in coro gli abitanti.
«Che idea brillante!» rispose Rama.
Trascorse un mese, e mentre Rama stava preparandosi alle nozze, il suo maestro, che aveva udito il richiamo dell’intuizione, giunse in suo soccorso. Nel vedere Rama, gli disse: «Credevo che avessi lasciato l’eremitaggio per liberarti dei compiti materiali che dovevi svolgere lì, ma vedo che hai un gatto, una mucca, della terra e una casa, e ho pure sentito che stai per sposarti! Che succede?».
«Maestro» esclamò Rama «è tutta colpa di un pezzo di stoffa! Ho preso il gatto per salvare il pezzo di stoffa, poi ho preso la mucca per sfamare il gatto, ho accettato la terra per avere il foraggio per la mucca e adesso avevo pensato di sposarmi e avere dei figli che lavorassero nella fattoria, perché gli abitanti del villaggio si rifiutano di farmi aiutare dai loro bambini!».
Maestro e discepolo scoppiarono insieme in una allegra risata, dopo di che Rama lasciò la sua nuova famiglia e la sua fattoria e tornò a vivere sotto la benevola e saggia influenza dell’eremitaggio nella giungla.
(Da: Yogananda – Piccole, Grandi Storie del Maestro)
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– Paramahansa Yogananda su Macrolibrarsi.it
– Paramahansa Yogananda su Wikipedia
– Aforismi di Yogananda su Meditare.it
– Self-Realization Fellowship
– Guruji.it
– Kriyayoga.it
– Center for Spiritual Awareness (pagina in italiano)
– Ananda.it