Una certa leggenda orientale narra di un mago ricchissimo che possedeva numerosi. greggi. Quel mago era molto avaro. Egli non servirsi di pastori, e neppure voleva recingere i luoghi dove le sue pecore pascolavano.
Naturalmente esse si smarrivano nella cadevano nei burroni, si perdevano, ma soprattutto fuggivano, perché sapevano che il mago voleva la loro carne e la loro pelle. E a loro questo non piaceva. Infine il mago trovò un rimedio: ipnotizzò le sue pecore e cominciò a suggerire loro che erano immortali e che l’essere scuoiate non poteva fare loro alcun male, che tale trattamento, al contrario, era per esse buono e persino piacevole; poi aggiunse che egli era un buon pastore, che amava talmente il suo gregge da essere disposto a qualsiasi sacrificio nei loro riguardi; infine suggerì loro che se doveva capitare qualcosa, non poteva in ogni caso capitare in quel momento e nemmeno in quel giorno, e per conseguenza non avevano di che preoccuparsi. Dopo di che il mago introdusse nella testa delle pecore l’idea che esse non erano affatto pecore; ad alcune disse che erano leoni, ad altre che erano aquile, ad altre ancora che erano uomini o che erano maghi.
Ciò fatto, le pecore non gli procurarono più né noie né fastidi. Essi non lo fuggivano più, ma attendevano serenamente l’istante il cui mago avrebbe preso la loro carne e la loro pelle.
Questo racconto illustra perfettamente la situazione dell’uomo.
– Da “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” – Peter D. Ouspensky
La testimonianza di otto anni di lavoro come discepolo di G.I. Gurdjieff |