Un uomo di nome Eno era il più umile discepolo del grande maestro Konin. E sebbene non sapesse leggere né scrivere e servisse nella cucina del tempio, fu lui e non Jinshu, il discepolo più anziano e più istruito, a conseguire la trasmissione. Orfano di padre, Eno era stato costretto a lavorare duramente per mantenere la madre. Ogni mattina si recava in città a vender legna. Un giorno, sentendo cantare il Sutra del Diamante Tagliatore, fu colpito da una frase:
«Solo se lo spirito non si ferma in alcun luogo, il vero spirito appare.»
Eno decise allora di farsi monaco e, dopo aver affidato la madre ad alcuni amici, si recò sul monte Hobai, dove sorgeva il monastero del quinto patriarca, Konin. Le sue origini modeste gli impedirono di diventare monaco e fu assegnato alle cucine, con l’incarico di pestare il riso. Un giorno il maestro invitò i discepoli a esprimere per mezzo di una breve poesia quel che avevano compreso dello Zen. Jinshu, il più sapiente e intelligente dei discepoli, compose questi versi:
Il corpo è l’albero dell’illuminazione.
Lo spirito è come uno specchio brillante.
Incessantemente noi li puliamo
perché non si ricoprano di polvere.
Si accinse a recarsi nella camera del maestro per consegnarglieli, ma, colto da un dubbio, preferì appenderli all’esterno del dojo. Il maestro, passando, li vide e, dopo averli letti, disse a Jinshu che erano belli, e che certamente avrebbero favorito in molti il risveglio.
Eno, l’analfabeta, chiese a un suo compagno di leggergli quella poesia, e decise allora di comporre a sua volta dei versi; lui li dettò, e il compagno li trascrisse:
Non c’è albero dell’illuminazione
né specchio brillante
Poiché intrinsecamente tutto è vuoto.
dove può dunque depositarsi la polvere?
Tutti, leggendo quei versi, provarono un profondo stupore. Anche Konin, che però non lo diede a vedere, e fingendo di ritenere insulsa quella poesia, la cancellò con il sandalo. Venuta la notte, si recò nella cucina, dove trovò Eno che pestava il riso. Gli chiese: «Hai terminato con il riso?» Rispose Eno: «Il mio riso è pronto. È mondato, ma nessuno lo ha pulito». Konin allora picchiò tre colpi sul tavolo ed Eno comprese che doveva recarsi, alla terz’ora della notte, nella cella del maestro. Lo fece, e Konin gli consegnò il proprio kesa e la trasmissione, quindi gli ordinò di allontanarsi immediatamente dal tempio. Poi egli stesso si ritirò sulla montagna.
L’indomani ì monaci notarono con grande sorpresa la loro assenza e si precipitarono a cercarli, perché tutti aspiravano alla trasmissione. Eno rimase nascosto per quindici anni in un villaggio di pescatori, poi ricevette l’ordinazione a monaco e prese a insegnare sul monte Sokei.
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