“Se c’è anche solo un briciolo di identità [cioè identificazione] nell’essere una persona spirituale, compassionevole, nell’essere disponibile, affettuoso, gentile, premuroso, aperto o mite – se c’è anche la minima identificazione, allora mitezza, apertura, spiritualità, compassione e disponibilità sono soltanto maschere che nascondo un’individualità interessata unicamente a ottenere, ad acquisire qualcosa.
Quando una cosa è reale, e proviene davvero dall’intimo più profondo, e la si lascia affiorare in superficie ed essere così com’è, allora c’è amore. C’è tenerezza, c’è gentilezza. Ci sono tantissimi modi in cui l’essere può esprimersi, a getto continuo. E in tutti i modi in cui si manifesta questo flusso, in cui affiora e si esprime nella vita, non vi è traccia di identità […]. Si può essere consapevoli, ad esempio, della presenza della compassione, ma senza identificazione, senza credere di essere una «persona compassionevole». C’è la consapevolezza della presenza di un flusso di disponibilità, di tenerezza o di premura, ma nessuna identificazione con l’essere una persona disponibile, tenera o premurosa. Un flusso vero come questo non proviene mai da un «qualcuno», perché soltanto un «nessuno» può lasciarlo sgorgare, può accogliere il suo passaggio. […]
Quando ancora eri onesto […] c’era la chiara, intensa e meravigliosa certezza di non aver bisogno di fare assolutamente nulla. Anche nei momenti di sofferenza, la coscienza sapeva che tutto era perfetto così com’era. Non c’era niente da cambiare.
Poi la coscienza ha guardato ancora e ha deciso: «C’è qualcosa che non va, […] non va bene percepire che la sofferenza non è affatto un problema, perché questo non mette fine al dolore. […] Eppure, la coscienza sapeva, nel profondo, che non vi era alcun bisogno di fare alcunché. […]
Ecco allora che la coscienza comincia a percorrere un sentiero, una via che la conduca a ritrovare il modo pieno e perfetto di essere. Attraverso la mente, la coscienza chiama questo illuminazione, risveglio. […]
Solo quando la coscienza, ormai lontana da «casa», rinuncia totalmente a questo suo bisogno di tornare a «casa», quando si lascia andare, accettando di buon grado questo suo stato pieno di rabbia, frustrazione, avidità, egoismo e di tante altre cose brutte che sono intrappolate dentro di sé – solo allora, la coscienza si ritrova in uno stato di benessere assoluto, vivo e vibrante. La coscienza è allora semplicemente se stessa, così com’è. […]
E senza neppure che la coscienza sia consapevole di quello che accade nei veicoli esterni – nella mente, nelle emozioni e nell’intuito – la sua modalità di essere periferica si armonizza spontaneamente col modo di essere vero del cuore, dell’intimo. […]
Il bisogno di cambiare è giunto alla fine. Non c’è più nessun bisogno di correggere, di riparare le cose. Il desiderio che il buono, il piacevole, attenui e rimuova il cattivo e lo spiacevole si è spento. Qualsiasi forma di fare interiore è finalmente e definitivamente acqua passata.
Ora il modo di essere è quello vero. […] Sei «a casa». Ed è la cosa più semplice, più facile del mondo. La guarigione è così semplice. È bastata soltanto l’onestà totale e la resa incondizionata a quello che la coscienza sapeva con certezza che fosse la Verità” (pp. 43-46).
– Da: John de Ruiter – La realtà senza veli. L’amore per il vero essere – Amazon
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