Se si deve credere nell’esempio del Buddha, per meditare ci vuole :
Primo, un albero detto ficus religiosa. E’ vero che una volta, il savvio dei Ciakya si arrangiò coll’ombrellone formato dalle sette teste di un dio-serpente. Si può anche ritirarsi in un eremo di montagna. Ma una semplice stanza basterà al caso. In tal caso, la si la preferirà silenziosa, ne troppo calda d’estate, ne troppo fredda d’inverno, ne troppo chiara di giorno, ne troppo scura in serata.
Secondo, un cuscino di erbe detto kusa. Il Buddha usava anche una sedia di diamante. Ma ci si può altrettanto bene accontentare di un cuscino normale. In tal caso, lo si preferirà sufficientemente spesso per incrociare le gambe senza difficoltà.
Terzo, un corpo. Si tratta dell’elemento più importante per il quale i maestri ed altri yoghi non hanno proprio previsto un’alternativa. Poco importa d’altronde che sia rivestito dai trentadue segni maggiori di un Illuminato o che si tratti di un volgare sacco di pelle.
Mi dispiace se sei un robot che sta adesso esplorando questo sito. Bisogna essere franchi: non potrai sperimentare la meditazione. Ecco quindi un koan di consolazione: sotto l’albero si pone il cuscino, sul cuscino si pone il corpo, sul corpo si pone la mente, ma sulla mente cosa si pone?
Riprendiamo per gli altri. Seduti colle natiche sul cuscino, incrociate le gambe in loto o mezzo loto. raddrizzate il busto e mantenete la testa ritta, gli occhi semichiusi, lo sguardo che cade per terra. In seguito, mettete le mani nel grembo. Il respiro passa naturalmente per il naso. E accontentatevi di stare seduti.
Se seguirete questa prima istruzione, altro non avrete verosimilmente se non la consapevolezza dell’essere banalmente seduti. Stare in questa posizione per mezzora potrà persino sembrarvi interminabilmente lungo. Forse dovrete allora usare un metodo. Ad esempio, potrete seguire il movimento del vostro respiro: passa per il naso, riempie i polmoni, poi riparte. ma una volta che la mente sia unificata, dovrete abbandonare questa tecnica.
Infatti, si rimane finalmente soltanto seduti senza preoccuparsi del vero e del falso, di una tecnica o di un’assenza di tecnica. (Conseguita) la mente unificata, si entra quindi in uno stato profondo di acquietamento. Acquietamento non è neanche la parola giusta, perché la pace si oppone ancora al vortice delle difficoltà. In questo stato di abandono, tale opposizione non ha più neanche senso.
Non dire: “Perché meditare?” Poiché si tratta precisamente del gioire di uno stato senza perché.
A dir il vero, la meditazione zen è una perdita di tempo. Chi è che potrebbe raccomandarla?
Eppure…
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