Il “Terzo occhio” di Lobsang Rampa è un racconto autobiografico – relativamente fantastico – che narra le vicissitudini di un ragazzo tibetano, destinato a diventare un importante lama. Il piccolo Lobsang affronterà un addestramento durissimo che vedrà il suo culmine nell’apertura del terzo occhio, l’occhio spirituale. Il lettore condividerà le esperienze mistiche del ragazzo, percorrerà i corridoi del “Potala” e visiterà gli altri importanti monasteri tibetani. Probabilmente si commuoverà quando l’invasione cinese costringerà il protagonista all’esilio volontario in Inghilterra.
“Tanti anni fa” scrive l’autore di questo libro “tutti potevano adoperare il Terzo Occhio. Ma l’umanità volle sostituire gli dei e come punizione il Terzo Occhio venne chiuso”. Lobsang Rampa, lama tibetano, afferma invece di possedere ancora questa eccezionale facoltà, che gli uomini dell’Occidente, adoratori dell’oro, del commercio e della scienza, hanno irrimediabilmente perduto. Questa sua autobiografia racconta la storia dell’ammaestramento e dell’iniziazione di un ragazzo ai misteri della vita; le sue vicende spirituali in un mondo retto da millenarie credenze e da riti plurisecolari e pervaso da intima e superstiziosa pietà.
Sull’autenticità del racconto e della personalità stessa dell’autore sono stati avanzati molti dubbi: il libro sembra fatto apposta per sfidare la credulità occidentale. Ma chi potrà mai affermare o negare con certezza che esso rifletta o meno l’educazione e la vita di un lama tibetano? Chi è mai potuto penetrare nel mondo chiuso descrittoci da Lobsang Rampa? Realtà dunque o immaginazione? Comunque sia, l’efficacia narrativa e la capacità di evocare situazioni e figure che ci trasportano in una atmosfera che ben può essere quella del favoloso Tibet, fanno de Il Terzo Occhio un’opera di grande freschezza e di estremo interesse.
Di seguito si riportano alcuni passi del libro che raccontano il momento dell’apertura del terzo occhio; le origini della chiusura del terzo occhio da parte degli dei e la filosofia di vita suggerita dall’autore.
«Poco prima del mio ottavo compleanno, il lama Mingyar Dondup mi disse che, secondo la predizione degli astrologi, il giorno successivo a quello del mio compleanno sarebbe stato il momento opportuno per “aprire il Terzo Occhio”. La cosa non mi turbò affatto. Sapevo che egli sarebbe stato presente e riponevo in lui la più completa fiducia. Come il lama mi aveva detto più volte, una volta aperto il Terzo Occhio, sarei stato in grado di vedere le persone quali erano in realtà. Per noi il corpo era semplicemente un involucro animato dal più grande Io, il super Io, che predomina nel sonno o allorché si abbandona questa vita. Noi riteniamo che l’uomo sia posto nel corpo fisico, debole e imperfetto, per poter imparare e progredire. Durante il sonno, l’uomo ritorna a un diverso piano di esistenza. Si corica per riposare e lo spirito si libera dal corpo e scivola via allorché giunge il sonno. Lo spirito rimane in contatto con il corpo mediante una “corda d’argento” che esiste fino al momento della morte. I sogni che si fanno sono esperienze vissute sul piano spirituale del sonno. Quando lo spirito ritorna nel corpo, lo choc del risveglio deforma il ricordo del sogno, a meno che non si sia stati particolarmente addestrati, ragione per cui il “sogno” può sembrare estremamente improbabile a chi è desto. Ma su questo argomento tornerò più estesamente in seguito, riterendo le mie stesse esperienze al riguardo.
L”‘aura” psichica che circonda il corpo, e che chiunque può imparare a scorgere, allorché vengono a determinarsi certe condizioni, è semplicemente un riflesso della forza vitale che arde interiormente. Noi riteniamo che questa forza o energia sia elettrica, come quella del fulmine. Ora, in Occidente, gli scienziati riescono a misurare e a registrare le “onde de elettriche del cervello”. Coloro che scherniscono queste cose, dovrebbero ricordarlo, e ricordare inoltre l’esistenza della corona solare. In essa, le fiamme si proiettano a milioni di chilometri di distanza dal disco del sole. Gli uomini non riescono a scorgere questa corona, ma quando si ha una eclisse totale di sole, chiunque si dia la pena di guardare può vederla. Il fatto che la gente creda o meno non ha realmente alcuna importanza. L’incredulità non può estinguere la corona solare. Essa continua a esistere. E la stessa cosa accade per quanto concerne l’aura psichica umana. Tra le altre cose, sarei stato in grado di vedere proprio quest’aura, una volta aperto il Terzo Occhio.
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Giunse il mio compleanno e, per quel giorno, io fui completamente libero, esentato dalle lezioni, esentato dalle funzioni. Nelle prime ore del mattino il lama Mingyar Dondup disse: «Divertiti, oggi, Lobsang, verremo da te al crepuscolo». Era molto piacevole starmene disteso supino, a oziare nella luce del sole. Un po’ più in basso, rispetto a me, vedevo il Potala con i suoi tetti scintillanti. Alle mie spalle le acque azzurre del Norbu Linga, o Parco dei Gioielli, mi inducevano a desiderare di poter salire su un’imbarcazione di pelle di yak e di lasciarla andare alla deriva. A sud, vedevo un gruppo di mercanti.sul traghetto di Kyi Chu. La giornata passò anche troppo in fretta!
Con lo spegnersi del giorno nasceva la sera, e io andai nella stanzetta dove dovevo rimanere. Udii il fruscio di morbidi stivali di feltro sul pavimento di pietra, fuori, poi tre lama di alto rango entrarono nella stanza. Mi applicarono sul capo un impacco d’erbe fasciandolo con strette bende. Nel corso della serata i tre tornarono e uno di loro era il lama Mingyar Dondup. L’impacco fu tolto con precauzione e la fronte mi venne pulita e asciugata. Un lama dalla corporatura robusta sedette alle mie spalle e mi prese la testa tra le ginocchia. Il secondo lama aprì un cofanetto e ne tolse uno strumento di acciaio lucente. Sembrava un punteruolo, solo che, invece di essere arrotondato, era a forma di “U”, e in luogo della punta intorno alla “U” erano disposti piccoli denti. Per qualche attimo il lama fissò lo strumento, poi lo sterilizzò alla fiamma di una lampada. Il lama Mingyar Dondup mi prese la mano e disse: «Questo intervento è molto doloroso, Lobsang, e può essere eseguito solo se tu sei pienamente cosciente. Non occorrerà molto tempo; pertanto cerca di star fermo il più possibile». Vedevo vari strumenti disposti l’uno accanto all’altro, e tutta una serie di pozioni d’erbe; dissi a me stesso: “Be’, Lobsang, ragazzo mio, ti faranno la festa in un modo o nell’altro, e tu non puoi impedirlo in nessun modo… non ti rimane che startene tranquillo”.
Il lama che aveva lo strumento si voltò a guardare gli altri e disse: «Tutto è pronto? Incominciamo subito, il sole è appena tramontato». Mi premette lo strumento contro il centro della fronte e ne fece ruotare l’impugnatura. Per un attimo ebbi la sensazione che qualcuno mi stesse pungendo con spine. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Non sentii alcun dolore particolare mentre lo strumento penetrava nella pelle, ma vi fu una piccola scossa quando toccò la superficie dell’osso. Il lama intensificò la pressione, facendo oscillare un poco lo strumento, in modo che i denti penetrassero nell’osso frontale. Il dolore non era affatto lancinante; si trattava semplicemente di un senso di pressione e di una sofferenza sorda. Non mi mossi perché il lama Mingyar Dondup mi stava guardando; avrei preferito morire anziché muovermi o gridare. Aveva fede in me come io in lui; sapevo che quanto diceva e faceva era giusto. Mi stava osservando, in quel momento, molto attentamente, con un lieve guizzare di muscoli in tensione agli angoli della bocca. Di colpo si udì un lieve crac e lo strumento penetrò l’osso. All’istante il suo movimento venne fermato dall’attentissimo chirurgo. Egli tenne ben fermo il manico dello strumento mentre il lama Mingyar Dondup gli passava una durissima e pulitissima scheggia di legno, esposta al fuoco e all’azione di certe erbe per renderla resistente come acciaio. Questa scheggia venne inserita nella “U” dello strumento e fatta scivolare in modo che penetrasse nel foro praticatomi nel cranio. Il lama che operava si spostò lievemente di lato per consentire anche al lama Mingyar Dondup di venirsi a trovare di fronte a me.
Poi, a un cenno di Dondup, l’operatore, con precauzione infinita, spinse la scheggia sempre e sempre più avanti. Di colpo, provai una sensazione pungente e solleticante, in apparenza alla radice del naso. La sensazione cessò e io divenni conscio di profumi sottili che non riuscii a riconoscere. Anch’essi svanirono rapidamente e furono sostituiti dall’impressione di spingere, o di essere spinto, contro un velo cedevole. A un tratto, ecco un lampo accecante, e in quell’attimo il lama Mingyar Dondup disse: «Basta!». Per un momento, il dolore fu intenso, come una fiamma bianca, lacerante. Diminuì, si spense, e fu sostituito da spirali colorate e da globuli di fumo incandescente. Lo strumento metallico venne rimosso con precauzione. La scheggia di legno rimase; sarebbe rimasta nel mio cranio per due o tre settimane, e, fino a quando non l’avessero estratta, io dovevo restare in quella piccola stanza quasi immersa nelle tenebre. Nessuno sarebbe venuto da me, eccettuati i tre lama che avrebbero continuato a impartirmi insegnamenti, giorno per giorno. Fino a quando la scheggia non fosse stata tolta, avrei avuto cibi e bevande solo nella minima, indispensabile quantità. Mentre la scheggia che sporgeva dalla fronte veniva fermata dalle bende in modo che non potesse muoversi, il lama Mingyar Dondup si voltò verso di me e disse: «Ora sei uno di noi, Lobsang. Per il resto dei tuoi giorni, vedrai gli uomini quali realmente sono e non quali fingono di essere». Era una strana esperienza vedere quegli uomini avviluppati, apparentemente, da fiamme d’oro. Solo in seguita potei rendermi conto del fatto che le loro aure psichiche – o aloni – erano dorate a causa della pura vita che conducevano, mentre quelle della maggior parte delle altre persone avevano un aspetto assai diverso.
Di mano in mano che il nuovo senso appena acquisito si perfezionava sotto l’abile guida dei lama, fui in grado di osservare che esistevano altre emanazioni estendentisi al di là dell’aura psichica più interna. Con il tempo potei valutare le condizioni di salute di un individuo in base al colore e all’intensità dell’aura psichica. Riuscii anche a capire se dicevano o meno la verità, a seconda delle fluttuazioni dei colori. Ma non soltanto il corpo umano potevo fare oggetto della mia chiaroveggenza. Mi fu dato un cristallo, che possiedo ancora, e nel cui uso mi addestrai a lungo. Non v’è alcunché di magico nelle visioni attraverso i cristalli. Essi non sono altro che strumenti. Come un microscopio o un telescopio possono far apparire oggetti normalmente invisibili sfruttando le leggi naturali, così agisce un cristallo. Esso non fa altro che mettere a fuoco il Terzo Occhio, con il quale è possibile penetrare nell’inconscio di ogni individuo e serbare il ricordo dei fatti appresi in tal modo. Il cristallo deve essere adatto a colui che se ne avvale. Taluni si trovano meglio con un cristallo di rocca, altri si servono d’una sfera di vetro. Altri ancora utilizzano una sfera piena d’acqua o un disco completamente nero. Ma di qualsiasi mezzo si servano, i principi sono identici
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Molto tempo fa, stando alle nostre leggende, ogni uomo e ogni donna potevano avvalersi del Terzo Occhio. Gli Dei si aggiravano allora sulla terra e si frammischiavano agli uomini. Il genere umano pensò di sostituire gli Dei e di tentare di ucciderli, dimenticando che ciò che l’uomo poteva vedere, gli Dei potevano vederlo meglio. Il castigo consistette nella chiusura del Terzo Occhio dell’uomo. Nel córso delle epoche, alcune persone sono venute al mondo con la capacità della chiaroveggenza; coloro che la possiedono naturalmente possono aumentarne di mille volte il potere mediante un apposito intervento, come era accaduto a me. Trattandosi di un talento speciale, occorreva avvalersene con prudenza e rispetto. Il prefetto mi fece chiamare, un giorno, e disse: «Figlio mio, tu possiedi ora questa capacità, una capacità negata a quasi tutti gli esseri umani. Servitene soltanto per il bene, e mai per il tuo personale vantaggio. Viaggiando in altri Paesi conoscerai persone che vorrebbero farti agire come un illusionista da fiera. “Dimostraci questo, e dimostraci quest’altro” ti diranno. Ma io dico, figlio mio, che ciò non deve essere. Il talento che possiedi deve porti in grado di aiutare il prossimo e non di arricchire te stesso. Qualsiasi cosa tu possa vedere grazie alla chiaroveggenza – e vedrai molte cose! – non rivelarla se potrà nuocere ad altre persone o intuire sulla loro via nella vita. L’uomo infatti, figlio mio, deve scegliere la propria via; potrai dirgli tutto ciò che vorrai e continuerà a seguirla. Potrai aiutare gli infermi e coloro che soffrono, questo sì, ma non dovrai mai dire ciò che può modificare la via di un uomo». Il prefetto era un lama dottissimo, nonché il medico che curava il Dalai Lama. Prima di por termine al colloquio, mi disse che di lì a pochi giorni sarei stato chiamato dal Dalai Lama, il quale voleva conoscermi. Per alcune settimane dovevo essere ospite al Potala insieme al lama Mingyar Dondup.
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Può avere un certo interesse il riferire qui alcuni particolari del nostro sistema di vita. La religione tibetana è una forma di buddismo, ma essa non ha alcun nome che possa essere trascritto nei caratteri di un’altra lingua. Noi ci riferiamo a essa come a “La Religione” e a coloro che sono della nostra stessa fede come agli “Interni”. Coloro che aderiscono a fedi diverse vengono denominati “Esterni”. Il termine che più s’avvicina, già noto in Occidente, è lamaismo. Il lamaismo si discosta dal buddismo per il fatto che la nostra è una religione di speranza e di fede nel futuro. Il buddismo a noi sembra negativo, una fede fatta di disperazione. E, senza dubbio, non crediamo che un padre onniveggente osservi e difenda chiunque, dovunque.
Molte dotte persone hanno scritto commenti eruditi sulla nostra religione. Molte di queste persone ci hanno condannato perché erano accecate dalla loro fede e non riuscivano a vedere nessun altro punto di vista. Taluni ci hanno addirittura definito “satanici” perché i nostri sistemi erano diversi dai loro. Quasi tutti questi autori hanno basato le loro opinioni sul sentito dire, o,sugli scritti di altri. Solo pochissimi, forse, hanno dedicato qualche giorno allo studio dei nostri principi religiosi, dopodiché hanno ritenuto di saper tutto e si sono creduti in grado di scrivere volumi sull’argomento e di interpretare e render noto ciò che i nostri più grandi savi imparano solo dopo un’intera esistenza.
Si pensi che cosa potrebbe insegnare un buddista o un indù dopo avere sfogliato per un’ora o due le pagine del Vangelo, se tentassero poi di chiarire tutti i punti più complicati del cristianesimo! Nessuno di coloro che hanno scritto sul lamaismo ha mai vissuto come monaco in una lamaseria sin dai primi anni della fanciullezza, né ha studiato i Sacri Testi. Questi Libri sono segreti perché non vengono posti a disposizione di coloro che aspirano a una salvezza rapida, senza sacrifici, a buon mercato. Chi desidera il sollievo di qualche rituale, di qualche forma di autoipnosi, può ottenerlo, se gli basta. Ma questa non è la realtà interiore, bensì una forma infantile di autoinganno. Per certi individui può essere molto confortante il pensare che sia possibile commettere un peccato dopo l’altro e che poi, quando la coscienza troppo rimorde, un’offerta di qualsiasi genere al tempio più vicino riesca a ispirare agli Dei una gratitudine così travolgente da far sì che essi concedano il perdono immediato, assoluto e certo, consentendo di abbandonarsi a tutta una serie di nuovi peccati. Esiste effettivamente un Dio, un Essere Supremo. Quale importanza può avere il nome che gli attribuiamo? Dio è una realtà.
I tibetani che hanno studiato i veri insegnamenti del Buddha non chiedono mai nelle loro preghiere commiserazione o grazie; chiedono soltanto di poter avere giustizia dall’uomo. Un Essere Supremo, in quanto essenza della giustizia, non può dimostrarsi pietoso con l’uno e non con l’altro, poiché ciò equivarrebbe a una negazione della giustizia. Noi siamo spiriti immortali. La nostra preghiera: “Om mani pad-me Hum!” viene spesso tradotta letteralmente “Salute al Gioiellò nel Loto!”. Noi che abbiamo studiato un po’ più in profondità, sappiamo come il suo vero significato sia: “Salute al super Io dell’uomo!”. La morte non esiste. Come ci si spoglia dei propri abiti al termine della giornata, così l’anima si spoglia del corpo quando quest’ultimo dorme. Come gli abiti vengono gettati via quando sono troppo logori, così l’anima rinuncia al corpo quando quest’ultimo è consumato o lacero. La morte è nascita. Morire è semplicemente l’atto di nascere su un altro piano dell’esistenza. L’uomo, o lo spirito dell’uomo, è eterno. Il corpo è solo la veste temporanea che avvolge lo spirito e che viene prescelta a seconda del compito cui si è destinati sulla terra. Le apparenze esteriori non contano; conta l’anima interiore. Un grande profeta può scendere sulla terra sotto le spoglie di un povero – come si può meglio giudicare la carità dell’uomo con l’uomo! – mentre chi ha peccato in una vita precedente può rinascere ricco, e ciò per accertare se commetterà errori anche quando non sarà trascinato a ciò dalla miseria.
“La ruota della vita” così noi chiamiamo il nascere, il vivere in qualche mondo, il morire, il tornare allo stato di spirito, e con il tempo, il rinascere in circostanze e condizioni diverse. Un uomo può molto soffrire in una delle sue esistenze, ma ciò non significa necessariamente che abbia peccato in una vita precedente; può darsi che questo sia il migliore e il più rapido modo di imparare determinate cose. L’esperienza pratica è un insegnamento migliore del sentito dire! Chi si toglie la vita può rinascere per vivere gli anni sottratti all’esistenza precedente, ma non ne consegue che tutti coloro i quali muoiono giovani o da bambini si siano uccisi. La ruota della vita vale per tutti, mendicanti e re, uomini e donne, gente di colore e bianchi. La Ruota non è che un simbolo, naturalmente, ma un simbolo tale da chiarire le cose a coloro che non hanno il tempo di dedicare lunghi studi all’argomento. Non è possibile spiegare la religione tibetana in uno o due paragrafi; il Kangyur- o le Scritture tibetane – è composto da oltre cento volumi, e anche in essi il problema non è completamente trattato. Esistono molti libri nascosti in remote lamaserie e visibili solo agli iniziati.
Da secoli i popoli dell’Oriente sono consapevoli delle varie forze occulte e delle varie leggi, e si rendono conto del fatto che si tratta di forze e leggi naturali. Anziché tentar di negare l’esistenza di tali forze, sostenendo che non possono essere in quanto non è possibile pesarle o analizzarle chimicamente con acidi, gli scienziati e gli studiosi dell’Oriente si sono sforzati di aumentare il loro dominio su queste leggi naturali. Il meccanismo della chiaroveggenza ad esempio, non ci interessava; ci interessavano, invece, i risultati della chiaroveggenza. Taluni dubitano della chiaroveggenza; sono come coloro che nascono ciechi e affermano che la vista è impossibile perché essi non l’hanno mai sperimentata, perché essi non riescono a capire in qual modo un oggetto situato a una certa distanza possa essere veduto quando, ovviamente, non esiste alcun contatto tra detto oggetto e gli occhi.
Gli esseri umani posseggono aure psichiche, profili colorati che circondano il corpo; giudicando dall’intensità dei colori, gli esperti in quest’arte riescono a conoscere lo stato di salute dell’individuo, la sua dirittura morale, lo stato generale della sua evoluzione. Quest’aura psichica è la radiazione della forza vitale interiore, dell’Io, o anima. Intorno al capo esiste un’aureola, irradiata anch’essa dalla forza vitale. Al momento della morte la luce svanisce, mentre l’io abbandona il corpo per compiere il viaggio verso il successivo stadio di esistenza. L’io diviene un “fantasma”. Vaga per un poco a caso, forse stordito dall’improvviso choc della liberazione dal corpo. Può darsi che non sia del tutto cosciente di quanto accade. Ecco perché i lama assistono i morenti: per accertarsi degli stadi attraverso i quali passeranno. Se si trascura di far ciò, lo spirito può rimanere legato alla terra dai desideri della carne. È dovere dei sacerdoti spezzare questi legami.
A intervalli frequenti celebravamo una funzione per la guida degli spiriti. La morte non è affatto terrorizzante per i tibetani, ma noi riteniamo che sia possibile facilitare il passaggio da questa vita alla vita successiva, adottando determinate precauzioni. È necessario seguire chiaramente vie definite, e pensare secondo certi criteri. La funzione veniva celebrata in un tempio alla presenza di circa trecento monaci. Al centro del tempio si trovava un gruppo di cinque lama aventi facoltà telepatiche, seduti in circolo l’uno di fronte all’altro. Mentre i monaci, diretti da un abate, cantavano, i lama tentavano di mantenersi in contatto telepatico con gli spiriti angosciati. Non esiste traduzione che possa rendere pienamente giustizia alle preghiere tibetane, ma ecco un tentativo:
“Ascoltate le voci delle nostre anime, tutti voi che vagate senza guida nelle regioni di confine. I viventi e i morti dimorano in mondi separati. Dove possono essere veduti i loro visi, dove possono essere udite le loro voci? Il primo bastoncello d’incenso è acceso per chiamare uno spirito vagante affinché possa essere guidato.
“Ascoltate le voci delle nostre anime, voi tutti che vagate senza guida. Le montagne torreggiano verso il cielo, ma nessun suono si ode. Le acque sono increspate da una lieve brezza e i fiori sono tuttora in boccio. Gli uccelli non fuggono al vostro approssimarsi, poiché non vi vedono e neppure vi sentono. Il secondo bastoncello d’incenso è acceso per evocare uno spettro vagante affinché possa ritrovare la sua strada.
“Ascoltate le voci delle nostre anime, voi tutti che vagate. Questo è il mondo dell’illusione. La vita non è che un sogno. Tutto ciò che è nato deve morire. Solo la via del Buddha conduce alla vita eterna. Il terzo bastoncello d’incenso è acceso per chiamare uno spirito vagante affinché possa essere guidato.
“Ascoltate le voci delle nostre anime, voi tutti che avete grande potere, voi che siete saliti in trono con monti e fiumi sotto il vostro governo. I vostri regni non hanno durato che per un momento e i lamenti dei popoli a voi soggetti non sono cessati mai. Sulla terra scorre il sangue e i sospiri degli oppressi muovono le foglie degli alberi. Il quarto bastoncello d’incenso è acceso per chiamare gli spiriti dei re e dei dittatori affinché possano essere guidati.
“Ascoltate le voci delle nostre anime, voi tutti guerrieri che avete invaso, ferito e ucciso. Dove sono ora i vostri eserciti? La terra geme e le erbacee crescono sui campi di battaglia. Il quinto bastoncello d’incenso è acceso per chiamare gli spiriti solitari dei generali e dei condottieri, affinché possano essere guidati.
“Ascoltate le voci delle nostre anime, voi tutti artisti e studiosi, voi che avete operato dipingendo e scrivendo. Invano avete aguzzato gli occhi e consumato i calamai. Nulla di voi è ricordato, e i vostri spiriti debbono vagare Ancora. Il sesto bastoncello d’incenso è acceso per chiamare gli spiriti degli artisti e degli studiosi affinché possano essere guidati.
“Ascoltate le voci delle anime, vergini meravigliose e dame d’alto rango la cui gioventù poté essere paragonata a un fresco mattino di primavera. Dopo l’amplesso degli amanti i cuori si spezzano. Vengono l’autunno e l’inverno, gli alberi si spogliano, i fiori appassiscono, come la bellezza, e si tramutano in scheletri. Il settimo bastoncello d’incenso è acceso per chiamare gli spiriti vaganti delle vergini e delle dame d’alto rango, affinché possano essere guidati lontano dai legami del mondo.
“Ascoltate le voci delle nostre anime, voi tutti mendicanti e ladri, voi tutti che avete commesso delitti contro il prossimo e che non ottenete riposo. Le anime vostre vagano osteggiate nel mondo e non v’è giustizia in voi. L’ottavo bastoncello d’incenso è acceso per chiamare tutti quegli spiriti che hanno peccato e che ora vagano soli.
“Ascoltate le voci delle nostre anime, prostitute, donne della notte, e voi tutte con le quali si è peccato e che ora vagate sole nei regni degli spiriti. Il nono bastoncello d’incenso è acceso per chiamarle e guidarle, affinché possano essere liberate dai legami del mondo.»
– Il terzo occhio – Rampa T. Lobsang
– https://it.wikipedia.org/wiki/Lobsang_Rampa
– Fonte
Viaggio alla ricerca della consapevolezza |